alcune brevi notizie sul trek  odierno

ll programma odierno prevede una breve passeggiata, giusto quindi usare il termine contratto “trek”, che ci porterà sul colle di Cencelle, crocevia di storia della nostra città. Sull'argomento si potrebbe parlare per ore ed ore, senza mai esaurire le vicende, dubbi ed osservazioni plausibili e venirne a capo.

Alle ore 13.00, faremo le “scarpe al sacco”. Il solito simpatico, gustoso e pratico sacco. Sempre seguito dai “dolci” cui le nostre “donne” ormai ci hanno abituato. Poi ci sono piccoli assaggini alcolici e la caffetteria, con pretesti digestivi, che i referti medico-diagnostici, con numeri a due cifre, consiglierebbero di evitare. Intendiamoci non è che oggi ci siamo proposti di fare un fioretto, abbiamo soltanto affidato ad altri la somministrazione degli alimenti! Sarà comunque come la vittoria di Pirro! Cadremo più tardi dalla padella nella brace dell''Agriturismo della Farnesiana. Quindi anziché fritti, “tireremo” le cuoia sui carboni ardenti, al caldo, confortati dalla simpatica gastronomia della cricca dell'Ingegnere “Pharnesianus” e consorte, del signor Sanetti e delle deliziose e carine cameriere che ci dispensano sorrisi ed ammiccamenti. Più tardi si capirà il perché di quegli occhi da cerbiatte, per il disappunto dei più illusi!

Oggi però non si camminerà, per la gioia di alcuni, e si che non ce ne sarebbe bisogno! Quello che resta della giornata verrà dedicata nel ricordo dei nostri “Natali” bambini, gioiosi, allietati da tombolate, “settemmezzo”, mercante in fiera ad altro. Dopo pranzo sono infatti previste interessanti estrazioni a premio, per il piacere degli amanti del gioco, dei rischi e dell'alea in genere. Ma c'è chi ha lavorato per mesi dietro le quinte, in buona fede, per compiacersi dei visi soavi e gioiosi dei baciati dalla fortuna. Soltanto io, che ieri sera, ho arrotolato centinaia di biglietti, per farli penetrare nei rigatoncini di pasta “Maggi”, avverto una certa nausea per il gioco in genere.

LA STORIA DI CENCELLE

Ma passiamo quindi a trattare, brevemente e rapidamente, la storia di Cencelle, così come è stata appresa dai nostri padri storici: “Monsignor Vincenzo Annovazzi, Carlo Calisse, Prof. Salvatore Bastianelli, cui aggiungiamo il M.o Fabrizio Pirani ed il Dott. Odoardo Toti. Ma prima di esaminare l'argomento odierno, è giusto anteporre il quadro storico della nostra città. Un compendio del periodo compreso dal II secolo d. C. all'853, anno cui si pone la fondazione di Cencelle.

PERCHE' FU EDIFICATA CENTUMCELLAE...

Ciò accade sotto Marco Ulpio Nerva Traiano (hispanicus) nato ad Italica nel 53, di schiatta romana, - morto a Selinus nel 117. Egli fu imperatore dal 98 al 117. Secondo gli storici fu uno dei 5 imperatori romani buoni (Tito, Adriano, Antonino Pio e Comodo). Viene eletto imperatore mentre, comandante militare, combatteva contro i popoli germanici. Per rimpinguare le casse dell'impero, ridotte al collasso, conquista la Dacia (territorio delle attuali nazioni Romania e Moldavia) regione ricca di miniere d'oro e d'argento. Torna a Roma con un bottino di 5 milioni di libbre d'oro (tonn. 1.750), 10 milioni di libbre d'argento (3.500 tonn.) 50.000 prigionieri poi ridotti alla schiavitù. Così riesce a risolvere la crisi economica che imperversava nella Città e nell'impero. Sistema i porti di Ostia e di Porto, insabbiati dai depositi fluviali, relegandoli poi a piccoli punti di raccordo per imbarcazioni che risalivano il Tevere, unica via d'uscita rimasta ai due scali. Amplia il porto di Ancona.

Dovendo dotare di uno porto imperiale la città di Roma, che non necessitasse di continui lavori di manutenzione, dopo vari studi sulla conformazione della costa tirrenica, sceglie di farlo costruire sul luogo ove poi sorgerà Centumcellae. Si fa inoltre erigere una sontuosa villa e delle terme, nell'interland, da cui poteva seguire lo stato di avanzamento dei lavori portuali.

La costruzione del porto di Centumcellae fu probabilmente effettuata utilizzando manodopera dacia.

Il luogo di ubicazione della villa di Traiano risulta alquanto controverso. Molti storici ritengono edificata sull'area su cui sorgeva il complesso residenziale De Filippis, a monte della Scuola di Guerra. Ma c'è chi la pone più in alto. Personalmente condivido l'ipotesi avanzata dal Correnti che questa doveva trovarsi entro le mura della città. Compresa cioè nel centro storico medievale tra le Vie Aurelio Saffi - Colle dell'Ulivo e Corso Centocelle. Per avvalorare questa ipotesi occorrerebbe demolire l'attuale Centro storico. Ma comunque da alcune fondamenta della città, da scavi pertinenti l'acquedotto o la rete fognaria, sono venuti alla luce statue marmoree, monete ed altro, attribuibili ad una ricca villa romana del periodo imperiale. Indizi che avvalorano quanto sospettato dal Correnti.

Quando Plinio il Giovane transitò avanti il mare nostro, con una imbarcazione proveniente da Roma per la Gallia descrisse così la villa di Traiano, vedendola dal mare, magnifica, circondata da verdissimi campi, da cui si dominava il golfo. Qualsiasi ubicazione della villa che non fosse il centro storico di Centumcellae, non avrebbe consentito la vista dal mare, coperta dalla vegetazione e dalla conformazione collinare.

Alla morte di Traiano viene nominato imperatore, nell'anno 117, regnando fino alla sua morte avvenuta nel 138, Pubblio Elio Traiano Adriano, anche lui hispanicus, nato ad Italica, adottato da Traiano.

E' lui che di fatto fa terminare i lavori del porto di Centumcellae. Ellenista, amava tanto l'arte greca al punto che nella foga della sua passione mise dentro anche Antinoo, un bel greco che divenne suo amante, che morirà annegato nelle acque del Nilo, per la disperazione di Adriano. Egli fece costruire nel punto ove Antinoo annegò, la città di Antinopoli. Si ritirò in seguito, abbattuto e demoralizzato, nella bella villa Adriana, ove fu realizzato un tratto fluviale con ampi argini in marmo ove sopra erano poste centinaia di statue marmoree, tra cui anche quella dei coccodrilli del Nilo.

Terminati i lavori del porto, vengono edificate, alle sue spalle, caserme militari, per le esigenze della flotta imperiale, qui di stanza, abitazioni per dare ricovero ad una popolazione, che man mano aumentava di numero, dedicata ai servizi del porto e delle altre contingenze. Nel V secolo (476) Centumcellae si spopola per la decadenza dell'impero romano. Sopra il suo territorio, 1^ Regio Lazio, si costituisce così il territorio del Patrimonio di San Pietro.

Nel 7° ed 8° secolo, cominciano le scorrerie dei saraceni nel mediterraneo. Tra l'ottavo secolo e l'inizio del nono Centumcellae è più volte attaccata dai Saraceni, ma nell'828 viene depredata e completamente distrutta con il preciso scopo di impadronirsi dello scalo romano, isolando militarmente Roma dalla flotta navale. La popolazione nel frattempo aveva abbandonato Centumcellae rifugiandosi sulle colline antistanti la cittadina. Lo stato vaticano, preoccupato per la perdita dei contributi riscontrata sul territorio, studia provvedimenti per ricreare la comunità dispersa. Nell'853 è fondata, per iniziativa di Leone IV Cencelle/Leopoli, su un luogo munito, dotato di acqua e mulini. Quel luogo il Papa lo vede addirittura in sogno e lo descrive ad un capitano della guardia papalina, tal Pietro, al quale conferisce l'incarico di ricercare quel sito. Pietro lo identifica nel colle di Cencelle. Inizialmente la città viene chiamata Centumcellae, perchè qui vi fu trasferita la Diocesi centuncellese. Sul colle il corso della vita si svolge regolarmente, ma la situazione economica non doveva essere tra le più floride.

Nel 1200 l'Abbazia di Farfa è proprietaria di Centumcellae/nuova (che in seguito citeremo come Cencelle) e di mezzo porto. Nello stesso anno ci fu nella cittadina un gran Consiglio, cui parteciparono 200 capi famiglia. All'O.D.G. la decisione di cedere a Viterbo ogni proprietà entro e fuori le mura (terreni, prati, boschi, acque etc.), per ripianare i debiti contratti con il comune di Corneto. Somma pattuita con Viterbo 2500 libbre di buoni denari senesi (peso pari ad 87,5 quintali di argento). Gli abitanti di Cencelle restituiranno a Viterbo, ogni anno, 26 denari senesi a famiglia, per la festa di S.Angelo (2 settembre), cioè 5200 denari senesi complessivamente ad anno.

In Cencelle inizialmente furono edificate la cattedrale di S.Pietro e la chiesa di S.Leone, in seguito, dopo il crollo della cattedrale, S.Maria in valle fuori le mura. I vescovi che attestano il vescovato nella città, risultanti dalle firme di presenza apposte nei registri di concilio, sono: Pietro, Leone, Pietro, Valentino, ancora Pietro, poi Azone e nel 1113 chiude la serie conosciuta Aschero. Nel 1192 risulta sospeso il vescovato a Cencelle, mentre nei periodi successivi ed intermedi il clero della città fu sotto le diocesi di Sutri, Tuscania e Viterbo.

NOMINATIVI RISCONTRATI TRA I DOCUMENTI DI CENCELLE PRESENTI NEI VARI ARCHIVI.
Cognomi ancora esistenti in Civitavecchia
Cognomi indicanti mestieri
Cognomi indicanti provenienza
Indicanti caratteristiche fisiche
RIENTRO A CIVITA

Si sa che la tradizione pone intorno all'anno 889, il rientro degli abitanti di Cencelle, nella vecchia città. Decisione presa in Gran Consiglio, dal vecchio e saggio Leandro, insieme ai partecipanti alla riunione, all'ombra di una grande quercia. Questa tradizione oggi viene contestata. C'è chi dice che quella riunione non avvenne mai, ma che è frutto della comune fantasia... Ed allora come la mettiamo l'intestazione di una piazza in città a quel personaggio! A me, che miti e leggende piacciono tanto, piace ancora credere a quella storia popolare, per cui sono per quella versione dei fatti, la cui presupposta invenzione da parte della gente comune, non avrebbe avuto alcuno scopo per essere creata e tramandata oralmente, poi, si sa, “vox populi vox Dei”.

Ritengo che l'idea di riportare la popolazione nella Città Vecchia fosse stata caldeggiata dal papato per interessi di governo. Ma non tutti lasciarono Cencelle.

Ma è certo che nell'889, la costa tirrenica, era stata già snidata dei pirati saraceni, alcuni di questi avevano fatto famiglia con donne locali e si erano stabilmente stanziati nelle abitazioni “superstiti”. Ma poi chi erano questi saraceni (o saracini)? Non erano altro che raggruppamenti eterogenei di cani sciolti, composti da nord africani, greci, turchi etc., che si riunivano sotto il comando di alcuni forsennati, con lo scopo di depredare le città marinare, le loro chiese ricche di ex voto. Correvano i nostri mari con imbarcazioni a vela leggere, velocissime. Assalivano e catturavano bastimenti passeggeri e naviganti. Poi richiedevano riscatti per le persone abbienti imprigionate. I “normali” finivano venduti in oriente, ridotti in schiavitù, le “normali” avviate alla prostituzione entro gli harem mediorientali. Le abitazioni di questi briganti del mare erano poste molto vicino alle nostre coste. Si parla delle grotte ed insenature delle isole di Ponza e Ventotene, della Sardegna, Corsica e delle isole dell'arcipelago toscano. Alcuni signorotti “italiani”, risulta pure che entrassero in combutta con questa soldataglia, per togliere di mezzo altrettanti signorotti divenuti loro scomodi, dividendo poi risultati e bottini, trafficando merce, passeggeri e naviganti. Noi civitavecchiesi, quelli degli anni '60, non dovremo neanche viaggiare tanto indietro con la memoria per ricordare, per rivedere o materializzare fisicamente un infedele “saracino”. Basta attingere alle immagini dei nostri “carnevali”, quando i mascherati da “saraceno” risultavano i più ammirati: fisico atletico, carnagione bruno-olivastra, capelli neri e crespi, sporgenti da bandane o dal copricapo in stoffa, pantaloni lunghi e camicie dai colori vivaci, sgargianti, scimitarre di latta al fianco. Poi soprattutto le maschere venivano realizzate a costo zero: vecchie tovaglie, tende damascate dismesse e non mancava mai una compiacente vicina di casa con la vena da sarta che si prestava per il taglio ed il cucito.

Ritengo anche, per certo, che l'idea di riportare la popolazione sulla Città vecchia fosse stata caldeggiata dal papato per motivi tattici. Comunque non bisogna credere che in quel periodo tutti abbiano abbandonato Cencelle per la città marinara.

Gli ultimi scavi, attestano la continuità della vita, sul colle, seppur a “scartamento ridotto” fino al XV secolo. Ed è soltanto dopo la scoperta dell'allume sui monti della Tolfa, che la città di Cencelle si spopola, le case, le mura e le chiese vengono “spoliate” ed i materiali di risulta utilizzati per costruire Allumiere, completare il borgo della Farnesiana (la Chiesa) ed altro. Eppure... eppure quelle quattro pietre qualcosa continuano a parlare e a far parlare di se, continuano a declamare la loro storia. E pensare che costruzione e distruzione di Cencelle è stata operata dalla stessa mano. Mentre transitando per la comoda carrareccia in direzione di Allumiere, la vista di quei ruderi su in alto lascia pensare ad esiti di un bombardamento.

Recenti osservazioni dell'archeologo, rivelano che la Cattedrale di S. Pietro, divenuta pericolante, viene declassata ad uso di carcere. All'esterno si nota infatti l'innalzamento di un muro, risalente in diagonale, su tre lati, con lo scopo di rendere la costruzione invalicabile, sia dall'interno che dall'esterno. Mentre la cripta riadattata per realizzarvi all'interno più celle. Chiari fori praticati sulle sue pareti lasciano intendere la realizzazione di ambienti ristretti per i detenuti. Mentre sull'intonaco, conservato, in uno di questi si leggono le tacche incise dai condannati, protesi a contabilizzare il tempo passato, a scandire i giorni futuri, misurare il termine delle condanna, per uscire dalla fobia dell'isolamento! Alcuni documenti di archivio provinciale ricordano, che un castellano, responsabile del carcere, ove era detenuto un unico e pericoloso condannato, viene malmenato dallo stesso, che evade. Per quella manchevolezza il castellano subisce poi anche la violenza del suo Signore e Padrone. Si scopre ancora che una parte della stessa cattedrale, forse in un secondo momento, viene adibita a laboratorio per la costruzione di campane. Si rinviene in una zona della cittadina, il laboratorio di un fabbro. Sarà stato quel “Giovanni il fabbro” che io per caso ho estrapolato da alcuni atti in appendice ai libri del Toti e che ho avanti citato! Si ritrovano infatti nel laboratorio chiodi, ferri di cavallo ed altro, pronti per la consegna, come se non ci fosse stato il tempo di consegnare... Poi vasche in trachite per la tempera dei metalli riscaldati. Chissà quanta storia ci riserveranno ancora quei quattro sassi, così come quella torre di ponente, detta della “nostalgia”, ove i Civitavecchiesi salivano a rivedere, per un momento, un tratto della loro città abbandonata, od il fumo di incendi devastanti o centinaia di imbarcazioni nemiche profanare il loro mare.

Vanì, 21-12-2008

LE NS FOTO

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