Caratteristiche:

Percorso:

Escursione a piedi:

  1. Raggiungiamo lo straordinario agriturismo “Antiquitates” costruito a Civitella, anni or sono dal Sig. Angelo Bartoli. Qualcuno potrebbe domandarsi, fin quando non varca il cancello del complesso con le sue particolari infrastrutture, cosa possa trovarsi di straordinario oggi in un agriturismo. Niente, tranne che qui si possono vedere capanne appenniniche tali e quali a quelle che venivano costruite 4000 anni fa, sui colli circostanti, dall’uomo della civiltà del Bronzo. E sono, queste, perfettamente funzionanti ed abitabili. Di forma circolare possono ospitare gruppi di persone, in qualsiasi periodo dell’anno, essendo state costruite, dal Bartoli, con qualche accorgimento: teli impermeabili posti tra le fascine straminee del tetto e delle pareti, aria condizionata e servizi igienici all’interno. I letti, su più file (a castello) sono disposti circolarmente tutti intorno all’ovale delle pareti. Il complesso, oltre ad una capanna ristorante realizzata in forma rettangolare, dispone di una sala congressi e di un grande laboratorio che simula tutte le fasi dei processi artigianali, metallurgici e chimici raggiunti dalla civiltà etrusca e dalle civiltà precedenti..

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    ANTIQUITATES

  2. Lasciamo presso questo complesso le nostre auto, per raggiungere, tornando indietro sulla strada asfaltata già percorsa, il ponticello (distante poco meno di un chilometro), ove si intercetta il sentiero natura aperto recentemente dalle autorità civiche di Blera, che permette di superare il Vesca ed i suoi guadi. Questo sentiero, aperto sulle coste del torrente, attraversa un bosco multicolore di querce, faggi ed aceri. Certo percorrere le rive del torrente sarebbe stato più suggestivo, anche se difficoltoso nell’attraversare i guadi. Ma lo scenario è comunque pittoresco. Molto utili, vari cartelli esplicativi, informano che l’ecosistema del Vesca è talmente puro ed incontaminato che è possibile qui trovare specie animali, pesci, crostacei e vegetali ormai rari o scomparsi dai nostri territori (gatto selvatico, lontra, tasso, capovaccaio, sparviero, gheppio, airone cenerino, lampreda, gambero e granchio d’acqua dolce e pesci di fiume, mirto, alloro, cisto e ginepro). A nostro giudizio, visto come è conservato l’ambiente, pensiamo che questo ecosistema si preserverà a lungo, intorno al Vesca, sempre che cacciatori, fungaroli ed altri, rispettino la natura e le limitazioni imposte dal buon senso e dalla normativa vigente.
  3. Intercettiamo la strada doganale che nell’alto medio evo venne battuta per collegare il comprensorio minerario dei Monti della Tolfa con Viterbo. Questa via di comunicazione, già “appenninica” poi etrusca infine medievale, attraversa il Fiume Mignone verso ovest all’altezza di una mola. La sua importanza è intuibile dalle varie fortificazioni (castelli) erette lungo il suo percorso, per ospitare le guarnigioni a difesa delle carovane dei viandanti (pellegrini del periodo templare) che dovevano raggiungere Roma dal litorale tirrenico o, il porto di Civitavecchia, dall’interno del Centro Italia, ove si tenga conto che la consolare Aurelia, verso il 700 d.C., nel tratto “Civitavecchia–Porto di Gravisca” divenne impraticabile per il forte impaludamento subìto.
  4. Risaliamo la strada doganale, incassata tra il tufo, notando in alcuni punti le incisioni lasciate dai perni degli assali sulle pareti della strada e sul fondo dalle ruote dei carri, mentre una canalina di scolo, ricavata nel centro stradale, serve per far defluire le acque piovane. Sono questi indici di vita e criteri di costruzione etruschi.
    In fondo, sulla collina, incontriamo un fontanile di acqua potabile, per servire alle esigenze idriche dei viandanti. In questo punto ritengo che, in periodo medievale, venne abbandonata la vecchia strada etrusca che doveva salire verso sinistra o destra, per raggiungere il villaggio. Fu qui creato un fossato difensivo, che oltrepassa in linea retta l’altopiano di S. Giovenale, per proteggere il castello dei Di Vico, che più avanti incontreremo. Tale opera di scavo ha di fatto disgiunto l’acropoli dalla necropoli.
  5. Noi giungiamo sul pianoro di Casale Vignale, ove sono ubicate tombe costruite nel periodo compreso tra il VII ed il IV secolo. Qui ritroviamo le nostre tombe a dado, semidado, arcaiche, ed anche più popolari, a fossa. Poco più avanti alcune tombe principesche, orientalizzanti, a tumulo del primo quarto del VII secolo, legate al periodo di dominio della lucumonia di Cerveteri sul luogo. In particolare una di queste presenta forti analogie con la Tomba Cima di S.Giuliano. Celle laterali, letti di deposizione maschili e femminili e, nella cella principesca, un grande letto di deposizione ed un singolare guardiano.Pipistrello Un pipistrello appeso sul soffitto, nella sua classica posizione, che non avverte disagio neanche quando il flash della digitale lo immortala, per un suo, seppur modesto, momento di notorietà su “internet”. Spero solo di non aver procurato alcun male fisico all’animale! Lasciata l’area necropolare, davvero vasta, ci dirigiamo verso il borgo abitativo. Protetto da una discutibile tettoia in metallo é posto alla vista così, ancora come é stato scavato dall’Istituto svedese. Si tratta di un gruppo di costruzioni abbastanza ben conservate, realizzate nel corso del VII sec. Le case, abbastanza modeste, sono costruite con muri in blocchi di tufo, connessi a secco, e possono contare uno o due ambienti al massimo. Ancora ben conservata qualche canalina di scolo delle acque, per il recupero della pioggia. Nella parte sinistra alcune stanze dalle basi particolari lasciano supporre che fossero adibite a laboratori artigianali. Il restante spazio dell’altopiano é occupato da fondamenta di altre abitazioni mentre, si notano pozzi e cisterne per la preziosa raccolta delle acque. Tra tutte queste abitazioni non se ne nota alcuna di un certo rilievo, per cui le riteniamo destinate ad una sola classe socialmente non elevata.
  6. Salendo l’acropoli incontriamo il castello del XIII secolo, a base triangolare, rimasto incompiuto e fatto costruire dalla potente e malvagia famiglia dei Di Vico. Avanti troviamo le rovine della chiesetta alto medievale di S. Giovenale, ad una sola navata, che conserva ancora eretta l’abside. Costeggiamo la parte orientale dell’altopiano godendo della bella vista sulle gole del Vesca. Nel centro del pianoro troviamo le fondamenta di alcune case, realizzate secondo principi di regolarità ed ortogonalità. Sono composte di più ambienti e possono senz’altro attribuirsi a famiglie benestanti a cui potremmo associare la proprietà delle tombe principesche di casal “Vignale”.
  7. Dopo aver consumato, sul pianoro, pranzo, dolci, sorbito vini, liquori vari e caffè, allietati dall’ormai consueto intervento poetico del nostro Emilio, ci avviamo per il “ritorno” seguendo il corso del fosso Petrisco fino alla sua confluenza nel Vesca. Suggestive le coste di questo torrente, che circoscrive la rupe difensiva nord di San Giovenale, ove sembra che tutta la vegetazione del bosco si sia qui data convegno sul “verde mediterraneo”. Traversato il Vesca procediamo speditamente verso Civitella Cesi, ove, arriviamo dopo aver percorso complessivamente 9 chilometri. Sono tanti e le nostre gambe non lo dimostrano affatto. Ergo il “Tiburzi” gode di ottima salute!
  8. Non resta ora che visitare il villaggio appenninico creato dal Bartoli, di gustare caffè e liquori a prova di “macchinette”, al confortevole Bar, al caldo del camino, e di fotografare la miriade di mini attrezzi agricoli affissi alle pareti, e gli altri innumerevoli ed impensabili oggetti, disposti così, per arredo, secondo un ordine disordinato che non guasta. Ma all’interno del bar il nostro poeta Emilio, presa dalle pareti una chitarra, ci riserva un’ulteriore sorpresa: il suono ed il canto. Comincia infatti a strimpellare ed intonare in sotto fondo la “Gatta” di Gino Paoli e poi altre canzoni degli “anta”. Per incanto cessa il vocio disparato, dei molti convenuti, sostituito da un intonato, unanime ed unisono coro in sottovoce che, sinceramente, ha fatto accapponare la pelle!

    Caro il nostro poeta, ora anche suonatore e cantante. In seguito, Emilio, cos’altro ci riservi?

    Dimenticavo che gli italiani sono soprattutto conosciuti come popolo di poeti, santi, navigatori…e....


san giovenale raccontato dar "Core":

San Giovenale é situato su due altopiani tufacei, naturalmente fortificato, delimitato dal torrente Vesca e dai suoi affluenti. Il pianoro, orientato in direzione est–ovest fu abitato, con soluzioni di continuità, dal 1500 a.c. al XIII secolo d.C., inizialmente da popolazioni appenniniche, delle ultime fasi del bronzo, le cui capanne occupavano la parte ovest dell’altopiano, poi da popolazioni etrusche ed infine dall’uomo dell’Alto Medio evo

Queste capanne, costruite con fascine di ginestre, venivano utilizzate nei periodi invernali, da popolazioni pastorali appenniniche che, lasciati i territori innevati del centro Italia, non più pascolabili, giungevano presso i litorali del Lazio con al seguito greggi di 15-20 mila pecore. Impiegavano circa tre settimane a scendere verso il Tirreno, ove sapevano di andare incontro ad inverni miti con la possibilità di pascolare ancora le greggi per prati verdi e rigogliosi. Conosciamo per certo il tempo impiegato da queste popolazioni per scendere verso le nostre terre, per aver conosciuto ed interrogato a Norcia, Benedetto, da noi battezzato “l’ultimo transumante”, su questa interessante attività ormai scomparsa dai nostri territori.

Benedetto Sappiamo anche che queste popolazioni pastorali percorrevano tratturi poi ricalcati dall’uomo etrusco e, successivamente, da quello romano, poi divenuti Via Flaminia, Strada Valnerina, Via Salaria etc. In particolare il nostro Benedetto, dal Casale Guglielmi dei piani di Castelluccio, e questo accadeva fino al 1950, scendeva verso il mare, con al seguito 20 mila pecore. Per la Valnerina raggiungeva Terni e poi Orte, ripiegando poi per Bagnaia. Sfiorando Viterbo passava poi per Cinello (località Cinelli vicino a Norchia) imboccando poi la sponda destra del Biedano, fino ad uscire sotto Monte Romano. Oltrepassato il paese, immediatamente fuori le mura, girava sulla sinistra per una carrareccia fino ad intercettare il Fiume Mignone. Guadato il Mignone raggiungeva la tenuta della Farnesiana, allora proprietà Gugliemi. Questo accadeva ogni novembre di ciascun anno, quando, sui piani di Castelluccio, la bora balcanica imperversava e la temperatura scendeva anche a meno 15 ed oltre, favorendo abbondanti nevicate. Poi ad Aprile, quando sugli Appennini ritornava la primavera, plotoni di pecore cani e pastori procedevano in senso inverso, lasciando indelebili tracce di percorso sul terreno che ancora oggi, se i tratturi non sono divenuti “strade asfaltate”, sono riconoscibili. Questa transumanza praticata in Italia anche oltre 3500 anni fa, era attiva in San Giovenale nel corso delle ultime “facies” appenniniche, come risultano particolarmente attestate da rilievi archeologici.

Dalla letteratura e, precisamente, dal D’Annunzio abbiamo appreso, a scuola, che anche i pastori abruzzesi in un certo momento dell’anno lasciavano i monti per migrare verso pascoli orientali dell’Adriatico: “… Settembre, andiamo é tempo di migrare, ora in terra di Abruzzo i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare …”

A quel tempo, i pastori, raggiunti i pascoli marittimi, ritrovavano le loro capanne dai tetti straminei, lasciate soltanto sei mesi prima. Il tempo di risistemarle, di ribattere l’argilla acciottolata del pavimento, di rinnovare qualche fascina di ginestra del tetto spiovente e delle pareti laterali e via poi a riprendere la vita pastorale, con il pascolo, la mungitura, la preparazione della ricotta, dei formaggi che culminava in primavera con lo smercio degli agnelli ed il ritorno sui monti. Ma la popolazione appenninica, oltre il periodo del ferro (3000 anni fa), si é poi parzialmente stanziata sui litorali, fondendosi a genti giunte dal medioriente. Nel nostro versante l’unione dei due popoli ha dato origine ad un’ unica stirpe, quella etrusca che, nel giro di duecento anni, dominerà, con la sua civiltà, tutto il bacino del mediterraneo. Così é sorta San Giovenale, pastorale, quale terminale di vie di transumanza e poi, per la sua ubicazione alle pendici dei monti della Tolfa, ingente bacino minerario, quale baluardo, a difesa di strade adibite al trasporto di minerali.

Gli scavi operati sul luogo fra il 1956 ed il 1965, effettuati dall’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, in collaborazione con la Soprintendenza per l’Etruria Meridionale, hanno portato in luce il sito archeologico pastorale, fino ad allora sconosciuto, dai quali é anche emerso che il villaggio capannicolo, risulta abbandonato dopo un incendio devastante. Mentre la vita risultò riprendere vigore nel periodo proto villanoviano, quando iniziò lo sfruttamento del bacino minerario tolfetano e, le capanne, vennero sostituite da abitazioni costruite in blocchi di tufo (VII - VI sec. a. C.). E, presumibilmente, S. Giovenale in quel periodo era posta sotto l’egemonia della Lucumonia Cerite. Successivamente, il centro, attraversò nel V Sec. un momento critico culminato con il suo definitivo abbandono, avvenuto nel II sec. A C. La vita sul colle riprese poi, sporadicamente, nell’alto Medioevo, quando furono edificati il castello e la chiesa ad opera dei prefetti Di Vico.

Vanì, 18/11/07.

Mappa del percorso :

Mappa percorso

    BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.

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