“Cielo sereno - temperatura primaverile ( 15°) – assenza di vento.
Ottima escursione"

Un numeroso gruppo, oggi, si inerpica, dal bianco fontanile di Baldone della strada del Marano, sul sassoso e panoramico sentiero dei monaci, per raggiungere entro le ore 13 il Cenobio di Santarcangelo.

Sotto il peso di rigonfi zaini, i Trekker, leggermente piegati su se stessi faticano sbuffando a consumare la risalita. Qualcuno ignora che molti secoli prima, i frati dell’abbazia sull’alta collina, per procurarsi l’acqua nei periodi siccitosi, scendevano giù con i barlotti di legno vuoti, per tornarsene con un pieno carico ciascuno. E’ per questo che hanno creato il sentiero!

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Il fontanile difficilmente rimane all’asciutto nel corso dell’anno, potendo contare sulle falde sotterranee del grande altipiano, che rilasciano costantemente un discreto getto d’acqua anche fino alla fine dell’estate. L’acqua del fontanile di Baldone oltre che potere dissetante sembra avere anche facoltà miracolose per la cura della sterilità delle donne. Si racconta che quando alcune spose tardavano a rimanere incinta, raggiungessero quella fonte per bere l’acqua e che il più delle volte la cura idropinica sortisse i suoi effetti … che poi più di una illazione ha portato in causa Baldone e gli ignari monaci di Santarcangelo!

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Il sentiero tira su diritto senza far tanti complimenti, di quando in quando, tra un bianco sasso ed un altro, concede panoramiche, voltando soltanto lo sguardo verso la meravigliosa campagna tolfetana, in direzione di Stigliano e Manziana. Lì il profondo cielo, con luce dominante, riesce ad impastare magistralmente il colore verde dei bassi boschi e dei prati, con quello dell’azzurro del cielo. Il tardo inverno sui colli e la forte escursione termica giornaliera, sta ingiallendo lentamente, con estro pittorico, la foglia di quercia ancora legata al picciolo, mentre folti aceri nostrani, non da meno, mostrano tutta la gamma vanitosa dei loro colori ocra, rosso vermiglio.

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Giunti sulla piana, appena scollinato, ci affacciamo dalla “terrazza” di sud ovest, cosparsa di dolomiti, con ampia vista sulla immediata Rocca Frangipane di Tolfa, La Tolfaccia, Monti Ventoso e Castagno, dell’Acqua Tosta e Sant’Ansino, e ancora Monte Palarese e poi sullo sfondo il Sasso e Monte Santo.

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Superato il Castello, verso l’abazia, l’orizzonte si schiude d’incanto dall’alta collina, cinto dal serpeggiare della strada del Marano ed avanti dal medio corso del Mignone che, salvo nel tratto di “Passo Viterbo”, ove lascia intravedere una bianca sponda di rocce, si riconosce dai pioppi ripariali che lo fiancheggiano per tutto il suo scorrere.  E se si alza lo sguardo verso nord si scorge in lontananza Viterbo e le propagini  del suo bel Cimino, il riverbero di Vetralla si apre diffuso sui suoi boschi, più avanti c’è Luni sul Mignone e poi il rilievo delle Grotte Pinza. Al di là del Mignone, in direzione di Civitella Cesi, si rilevano lunghe diramazioni carrarecce che si fiancheggiano ed intersecano, poste a servire sperduti casali apparentemente disabitati, disseminati nelle immense maggesi dei colli ondulati.

Entro il quadrante dei venti di Grecale, sfilano in parata le necropoli di Pian Cisterna, Pian Conserva e Pian Li Santi. Il Castelletto di Rota fa capolino dallo suo sperone roccioso, proiettato sul Ferrone che si specchia con Stigliano e Monte Augiano. Mentre verso Monterano, è visibile  la Riserva Grande, distesa  ed immensa, posta sotto il controllo di Monte Monastero.

Non c’è che dire, un intero mondo a portata di mano avanti a noi entro un infinito orizzonte!

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Oggi abbiamo privilegiato le bellezze della natura, che hanno appannato le importanti emergenze archeologiche che sono sotto e dietro di noi, l’Abbazia e la Chiesa di San Michele Arcangelo.

Del Castello poco si sa ma doveva essere legato in qualche maniera al complesso religioso e posto sotto il condominio della Famiglia Guastapane, mentre la sua edificazione deve risalire a prima del mille, esattamente costruito ad opera ed uso dei Longobardi. Il suo scopo di controllare le principali prossime Vie di comunicazione ha perennemente attratto le mire dei regnanti suoi contemporanei. Tuttora esistente e visibile per alcuni tratti, è la via Cornelia, che abbiamo percorso per giungere alla Gransceta dei Cavallari dalla Via del Marano. La via collegava Roma con Tarquinia e mentre una cospicua parte di essa è ancora in esercizio nei pressi di Roma, in provincia risulta completamente abbandonata o sottoposta ad altre strade. C’è ancora la Via del Marano e poi l’altra, quella che da Tolfa, transitando per il sottostante Passo Viterbo posto sul Mignone, raggiunge i Monti Cimini.

Il luogo era abitato già al tempo degli etruschi, forse anche dall’uomo preistorico, ma nel periodo medievale doveva risultare il nucleo di un discreto centro agricolo, registrando la presenza di molti massari con contadini al seguito. Il complesso collinare presenta estesi appezzamenti di terreno coltivabili sottratti ai boschi (granscete). Queste granscete erano gestite, forse, direttamente dagli abati del convento per conto del Signore.

“Santarcangelo” poco dopo il primo millennio, era forse sotto il dominio di Tolfa Vecchia, mentre da un atto di sottomissione datato 4 marzo 1201, risulta passare sotto il controllo di Corneto. Il documento è firmato dal prete Paltone ( Enrico fu il suo successore) dell’Abbazia di Santarcangelo e dai Consoli del Comune egemone (Corneto). Tra alterne vicende, Castello Abbazia e terreni vengono temporaneamente a trovarsi sotto Viterbo, per tornare, secondo il volere del Papa, proprietà della vecchia giurisdizione, come risulta da documentazione certa. Il complesso fu attivo fino al 1400. La scoperta dell’allume e di altri minerali sui Monti della Tolfa, e lo scavo successivo di cave e miniere, deve aver strappato maestranze all’agricoltura decretando un lento abbandono del nostro luogo.

Della chiesa restano i ruderi di un edificio a tre navate absidate con tre campate e quattro colonne centrali e laterali. Sono visibili, molto suggestivi, resti di mura, colonne, dell’altare ed una acquasantiera, in roccia trachitica. All'esterno si trovano i resti di un campanile quadrato. Mentre molte parti scolpite, appartenenti alla chiesa sono state portate, per sicurezza, nel giardino del Museo di Tolfa. Decisamente di stile longobardo, Santarcangelo, riporta caratteristiche e santo dedicatorio di quel popolo.

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I Monti della Tolfa, del resto, custodiscono diverse emergenze archeologiche longobarde, molti toponimi ne confermano il passaggio: la Via di Poggio Baldone (longobardone) cimitero lungo la via del Marano, Costa Lombarda, prossima a Santarcangelo ed al Monte Cocozzone. Meraviglia come questo popolo germanico avesse potuto sospingere il suo dominio entro territori decisamente Bizantini. Tolfa infatti, in quel tempo, poteva considerarsi un’isola longobarda entro un territorio completamente avverso. Ma anche il litorale doveva essere sotto lo stesso dominio, se pensiamo che la Chiesa di Piantangeli, è stata giudicata dallo storico tolfetano Bartoli, molto simile architettonicamente alla Chiesa di S. Egidio Vecchio in Civitavecchia, ora quasi scomparsa.


Non è ancora tardi quando - finito il lauto pranzo a base di carni grigliate alternate da dolcetti e caffè di produzione propria, mentre qualcuno annuisce … il Tiburzi? … “non solo trekking”…..

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Alle ore 14 il Gruppo si rimette in moto, percorrendo ameni stradoni intagliati sulla roccia tra foreste di alberi che l’autunno ha fatto propri. Presto raggiungerà il parcheggio ove sono state poste le vetture. Ma poco avanti facendo sosta nei pressi del santuario etrusco della gransceta, datato terzo secolo a.C.. Stima discutibile, a quell’epoca i romani avevano già messo le mani sull’Etruria e gli etruschi avevano ben altro a che pensare! Ad avviso dello scrivente l’opera potrebbe riferirsi al quarto o quinto secolo a.C..

L’area cultuale presenta soltanto le fondamenta - nel tempo è stata spogliata di tutto ciò che emergeva dalla superficie del terreno - ed i rocchi delle colonne (certamente tuscaniche), mentre evidente appare il luogo ove era posta la cella, stranamente questa é divisa in due parti e non tre. A fianco all’edificio di culto si trovano i resti delle fondamenta di due piccoli edifici la cui funzione non è stata ancora accertata.

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Dalla storia dell’arte apprendiamo: …

La cella dei templi greci era divisa in tre parti:

  1. il pronao luogo ove i fedeli accedevano per deporre le offerte ai sacerdoti;
  2. il naos, posto al centro, riservato alla statua della divinità dedicatoria del tempio, nel naos avevano accesso soltanto i sacerdoti;
  3. l’opistodomo ove erano riposti gli ex voto ed il tesoro del tempio.

Motivi per cui moltissime meraviglie templari non sono giunte intere fino ai tempi nostri:

vani' 26-11-2011


LE FOTO
A - Piantamgeli nov2011 - mappa percorso terreno.jpg Mappa Percorso A - Piantangeli nov2011 mappa percorso google earth.jpg Percorso su Google Earth A - Poisantangeli nov2011 - mappa percorso sat.jpg Percorso da Satellite
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