23 maggio 2010, alquanto numeroso il gruppo di formazione già alle ore 8.10 c.a., sul viale Berlinguer, destinazione: Rovine di Canale Monterano/Sentiero natura.
Vigilia della partenza, “magic moment “! Il pensiero volto alla bella camminata, mentre una diffusa intima e piacevole sensazione di libertà, gioia e ferie, ci pervade e rasserena l’animo.
Tanti incontri graditi, ovunque saluti e sorrisi di gente di “perdute tracce”, amici storici, e poi tanta gente nuova, giovani con tanti bei bambini al seguito, e noi, nonni di “lungo corso”, intimamente compiaciuti, dispensiamo complimenti, buffetti, e strizziamo gli occhi un po’ ovunque.
Oggi, per i convenuti, è stato disegnato un percorso ad hoc, per l’appunto, una giusta “toccata e fuga” al Parco archeologico della Tuscia più bello del mondo, favorito dagli aspetti naturali e dalla recondita storia.
Diosella ... Diosilla, “Dies … illa”, “Dies … Ira”
Un folto verde smeraldo nasconde la piccola e graziosa Diosilla; per raggiungerla e portarcisi proprio sotto, c’è un sentiero tortuosetto, tracciato armoniosamente dall’uomo, definito con gradini in pietra lavica, protetto dal vuoto con pali in castagno. Tutti giù quindi sul bel fosso del Lupo, tra il benvenuto di una foresta amazzonica vera ed il ridente salto d’acqua tra le imponenti alte rocce, ove un giorno Diosella, sporgendosi ben oltre le linee di gravità, venne giù, incantata dalle belle voci del bosco e dal multicolore effetto dell’iride negli arcobaleni tra salienti vapori spumeggianti. E portò con sé, la bimbetta, nelle cerulee pupille, queste ultime immagini paradisiache, ben poco per il costo della vita! Ma il fato non le fu completamente avverso, diffusasi la sua storia tra i campi e paesi, di voce in voce, Diosella raggiunse ben presto l’immortalità!
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Affrontiamo il “sentiero natura”, serpeggiante, attorno al Bicione. Qui i più belli e frondosi alberi riparali si son dati convegno e ci accompagnano in corona per tutto il tratto. Ed il sottobosco? Ovunque muschi, licheni, felci, selaginelle, ombelichi di venere, i pungitopo che conservano ancora i loro natalizi acheni rossi ed anche qualche arbusto di agrifoglio. Difficile focalizzare tante bellezze natura così vicine. Poi sporgenti rocce sul sentiero. Ce ne sono poste a “cappuccina” che danno senso di avventura ai bimbetti, costretti, ma ripagati, a chinarsi per passarvi sotto, entro. Ci sono rocce disseminate un po’ ovunque, sul Bicione che, ora s’è posto a serpeggiarci attorno, con le sue acque celesti, blu cobalto dello zolfo, rosso bruciato del ferro. Già tutta l’aria è pervasa da un forte odore di zolfo purificante, è il profondo sospiro della terra: Mantura è prossima. E già si intravedono le ampie gallerie dei minatori sul costone, parzialmente tratte nel tempo che fu, fin dall’etrusco che immergeva le mani nelle viscere della terra a cavare minerale per il fuoco dei suoi altari.
D’un tratto una luce abbagliante della tersa giornata estiva ci offre avanti un paesaggio lunare. Siamo fuori del “natura”. Ovunque è polvere bianca di zolfo spento, nei viottoli tra grossi ciottoli tondeggianti, nei rigagnoli del Palombara, che scende giù dal colle di Monterano. E, poco dopo, in punta di piedi penetriamo nell’atrio del regno della più bella divinità degli inferi “rasenna”, una mofeta ci da il benvenuto con il suo perenne freddo gorgoglio, avanti grotte preistoriche. E’ qui che i nostri padri Etruschi rendevano onori a Mantura.
“Thuruche Larth Mantureie” … sono stato donato da Larth di Mantura, si legge nella frase dedicatoria posta su un pithos rinvenuto nel parco di Marturanum, ove il vaso, soggetto del discorso, secondo forme sintattiche etrusche, racconta la sua storia attribuendo al luogo la sua denominazione.
Ma noi, un po’ dissacranti, ripetiamo, al cospetto di gente nuova, il simpatico rito propiziatorio dell’acqua termale bollente, esprimendo un po’ di simpatia a creare più amalgame nel gruppo, e lei, Matura, con lo sguardo benevolo di mamma, ci aspetta ogni volta e perdona la nostra intemperanza.
Risaliamo per la simpatica casa appenninica e poi per la nascosta tagliata etrusca, dalle vellutate e millenarie pareti che ci discostano ancora dai caldi raggi del sole allo zenit.
Si esce per la Greppa dei Falchi dalle sue grotte millenarie. C’è poi il paese, ovvero ciò che resta dopo la malevola e balzana idea dei greci (pardon dei francesi) di distruggerlo, per ripicche irrisorie scempie e gratuite, e di cancellare per sempre un gioiello di mirabili opere medievali e del principale artefice del barocco italiano: Gianlorenzo Bernini.
La Chiesa di S. Bonaventura ed il Convento, la Fontana ottagonale, la fantastica facciata del Castello Baronale degli Altieri con la Fontana del Leone, già proprietà dei soliti Orsini, Anguillara ed altri. Le case del popolo, dei maggiorenti ed i palazzi gentilizi, le mole e le porte urbiche L’acquedotto romano dell’Oriolo, le tombe etrusche e cos’altro che non sappiamo?
E noi visitiamo di tutto un po’, ma la sacrale ora di pranzo, ci riunisce ed accomuna tutti attorno ad un immane “focaraccio” per il rito del pasto, dell’ars del “sarcicciandi”, le cui norme ampiamente diffuse, sono ormai a tutti note. Non so se ricordo bene un certo adagio: “durante il pranzo prese moglie anche un frate”.
Si ritorna, quando ormai l’enorme erbosa piazza di Monterano si è via via sempre più popolata. Gente che sbuca fuori un po’ ovunque, vestita in tante maniere diverse, uomini con cappa e spada, uomini a cavallo, uomini travestiti e che accettano volentieri di ballare … intere famiglie attratte dal posto, ed allora mi traversa la mente un pensiero. I dragoni francesi bombardarono il paese con l’idea di cancellarlo dalla faccia della terra. Ma fecero male i conti, dopo l’abbandono, dei quattro ruderi superstiti di Monterano comincio la leggenda …
MONTERANO: ALCUNI CENNI DI STORIA
(Spunti da “Monterano tremila anni di storia” 1987 Rivista Militare – Roma - F. Stefani)
La presenza di numerose caverne naturali ed artificiali (Greppa dei Falchi e lungo le valli del Bicione e del Mignone), ed il rinvenimento nel comprensorio monteranese di reperti archeologici dell’uomo dell’età della pietra (lame di selce, punte di frecce), testimoniano una frequentazione umana preistorica, favorita dalla presenza di boschi ricchi di fauna, di innumerevoli differenziati torrenti, fiumi e fossi, che in tutto il corso dell’anno, alternativamente, assicuravano un consistente fabbisogno idrico. Non risultano condotti a termine sistematici studi sui periodi della pietra, paleolitico e neolitico, quantomeno non noti, perché non ancora pubblicati, disponiamo invece di maggiori certezze di presenza umana del periodo appenninico e delle età del rame.
Monterano, è stata distrutta nel 1800 ad opera degli invasori francesi, senza alcuna pietà, motivazione nota e plausibile. Circolano varie ipotesi sull’increscioso fatto, ma io accredito di più quella che ritiene gli agricoltori tolfetani esserne la causa, a cui i monteranesi non consentirono di macinare grano nella Mola di Ceccarelli sul Mignone. Investirono questi, dopo il rifiuto, i militari francesi, che avevano comando sul territorio, paventando loro l’interruzione della somministrazione del pane quotidiano, che gli invasori pretendevano gratuita, quale diritto di conquista. La distruzione della cittadina fu quasi letale. Dapprima colpita dall’artiglieria posta sul colle della Madonnella-Greppa dei Falchi, di seguito i francesi sono passati al saccheggio di ogni cosa di pregio, comprese opere d’arte, e poi a demolire le case superstiti, con cariche di dinamite.
Il Colle frequentato fin dalla civiltà appenninica, potrebbe riservare interessanti sorprese archeologiche. In particolare reperti del periodo etrusco si potrebbero rinvenire sotto i ruderi delle abitazioni. Non risultano effettuati scavi negli strati di umus, appartenenti a quel periodo nella vasta piazza al centro del pianoro, ove sorgevano le abitazioni.
La città poggia su un altipiano di tufo difeso naturalmente su tre lati a foggia di testa di vipera. Classica disposizione dei centri etruschi. Era raggiungibile attraverso quattro porte urbiche tuttora evidenti. Le tombe erano poste sul perimetro della città, nella parte alta c’era una vasta acropoli, ove è stato edificato il palazzo baronale, mentre sicuramente erano presenti almeno due templi, costruiti ove sono ubicate la cattedrale altomedievale di S.Maria e la chiesa di S. Bonaventura.
L’economia fondamentalmente agricola e pastorale, consentiva un discreto commercio con i vicini centri minerari, attraverso alcune strade: la Via Clodia principalmente, mentre altre due che si dipartivano verso ovest raggiungevano Cere e Tulfa. Lungo le rocce scoscese, gli etruschi, avevano realizzato vari sentieri di rapida evacuazione e di non facile identificazione.
Le porte urbiche, almeno quattro, erano ben controllabili e scendevano in “tagliate” od erano protette da imponenti mura di difesa (porta Romana, Porta gradella per raggiungere il passo del Canalicchio ed il tratto medio del Mignone, del Cavone e Porta Ovest per il corso del Bicione, e di accesso alla valle del Mignone).
Al periodo etrusco segue un periodo di lento abbandono della città, che la dominazione romana, con il diffondersi del latifondismo causò. Intorno al IV secolo d. C., le invasioni di popolazioni germaniche spingono il vescovo e gli abitanti della prossima Forum Clodii, ad abbandonare la propria città per portarsi sul colle monteranense, luogo sicuro ove rifugiarsi. Vennero sistemate le preesistenti vie di comunicazione, presumibilmente costruito l’acquedotto, edificate le abitazioni e le chiese sulle strutture etrusche, sistemata una sede vescovile e costruita la cattedrale di S. Maria. Nel 1597 Papa Clemente VII, in viaggio per Bracciano da Allumiere, percorrendo a cavallo una strada ora scomparsa, così descrisse la sua avventura: “ … cavalcando per chine scoscese, passato il Mignone, che con chiare acque attraversa quelle montagne, entrammo nel vago e dilettevole paese di Monterano, famoso per gli ottimi vini (alicante), verdeggiante per gli spessi e foltissimi grani …”.
Nella Diocesi monteranense, in base ai concili romani risultano essersi alternati i seguenti vescovi:
L’ultimo vescovo è risultato Giovanni II (998), nell’anno 1000 la diocesi di Monterano passa sotto quella di Sutri, ma risultato indecifrabili (n.d.r.) alcune date su riportate, contrassegnate con l’asterisco, che presuppongono periodi di vescovado ben superiori a cinquanta anni. Ma potrebbe trattarsi di errori di trascrizione degli amanuensi oppure, nell’ambito di un trascurabile nepotismo, attribuzioni di nomine a minori, parenti stretti del papa o di altri alti prelati, cosa resto più volte verificatasi.
Emilio Bonaventura Altieri, papa Clemente X, al soglio pontificio nel 1670, acquistò i feudi di Monterano, Oriolo e Viano (Veiano), fece eseguire molti lavori in Monterano, giovandosi del migliore artefice del Barocco romano, Gianlorenzo Bernini. L’architetto progettò la chiesa ed il convento di S. Bonaventura, la fontana ottagonale e riordinò mirabilmente la facciata del palazzo baronale: torri collegate da una loggia a sei arcate e cascata del Leone.
Mentre in seguito venne edificata la piccola chiesa di S. Rocco, a fianco del palazzo baronale, dedicata al Santo dopo che in paese venne sconfitta una violenta epidemia di peste. Ed è noto che il Santo è il protettore dei pellegrini, degli appestati e più in generale dei contagiati, dei farmacisti e dei becchini, in alcuni luoghi anche dei lavoratori delle pelli e, per finire, dei nostri più fedeli amici a quattro zampe, i cani.
Vanì, 23-05-2010
(NdR): sullo stesso argomento vedasi il link "Da Manturna a Monterano" del 2008.