7 luglio 2010
"Ivano che ne pensi di andare al Lago della Duchessa (*) ?"
Così, con inaspettata, piacevole richiesta, il nostro Lorenzo aveva esordito.
E fu subito Duchessa...!
13 luglio 2010
Al via, presenti, due Antonii, Carmelo, Claudio, Franco, Gualtiero, Ivano e Lorenzo promotore.
Il luogo designato, il piccolo lago glaciale della Duchessa, una sorta di otto schiacciato, perduto tra le alte ed orgogliose omonime montagne poste al margine sud-est dell’immensa piana di Rieti, al confine tra le regioni Lazio/Abruzzo.
La vigilia della risalita abbiamo visitato il bel Lago del Salto, stranamente trascurato dal grande flusso turistico.
Nel nuovo Borgo lungo lago di S.Pietro, gustati piatti tipici e vino abboccato particolarmente buoni. Il Borgo è la novecentesca ricostruzione del vecchio paese, sommerso dalle acque, per far largo alla centrale idroelettrica, dopo lo sbarramento del fiume Salto.
Nel tardo pomeriggio, raggiunta Corvaro, prossima al paesino di Cartore, abbiamo goduto di una cena e pernottamento soddisfacenti con 45 euro a persona, tutto compreso, presso il Centro Alberghiero La Duchessa, proprio vicino all'uscita Autostradale e a poca distanza dall'inizio del la carrareccia che sancisce l’inizio escursione.
14 Luglio 2010 - la cronaca
Ore 8,30 c.a., tutti belli bardati a festa, con indumenti adeguati al caldo della precoce estate, partiamo dal vicino paese di Cartore** (q. 944 s.l.m.). Sentiero “2 B”, ben segnalato dalle bandierine del C.a.i. “rosso-verde-rosso”.
Un cane pastore abruzzese, che ci aspettava vicino ad un fontanile sotto i cartelli della Riserva, si pone decisamente avanti a noi e ci porta su, verso la Duchessa, precedendoci sulle balze, indicandoci il sentiero, questo fin su le Capannie.
Cani e cinghiali destino del Tiburzi!
Ora affrontiamo il ripido e verde Vallone di Fua, una sorta di profonda ferita della montagna, prodotta lentamente, nel corso di millenni, dai tempi di Wurm, dal ghiacciaio della “Duchessa”.
Il sentiero sale su decisamente senza mezzi termini ed impegna alquanto tutte le nostre energie. E quando le alte rocce del Vallone si avvicinano tra loro fino quasi a toccarsi, alcune ferrate, poste per sicurezza, ci proteggono da dirupi insidiosi.
La scarsa luce solare che filtra tra gli alberi, in direzione della risalita, scandisce lentamente le quote. Alberi presenti: carpini neri, cerri, qualche rovere, aceri, frassini, odorosi ginepri e noccioli selvatici (corylus avellana). Dopo un’ora circa di cammino subentriamo nel Vallone del Cieco (q. 1300), ove comincia il dominio delle faggete.
Ma ancora non si scollina ed il sentiero continua ad inerpicarsi. Dovremo doppiare le Capannie (q. 1718) per raggiungere spazi aperti ed affrontare un accettabile pendio, questo quando finalmente ACE, nostra avanguardia, annuncia … “rifugi all’orizzonte” … entriamo nel tratto più panoramico e “pianeggiante” del nostro fantastico viaggio nel tempo. Trepidanti avvertiamo prossima alla meta.
Avanti a noi si apre un’estesa valle, ove si intrecciano i terminali di tutti i sentieri che qui giungono da più parti. In direzione sud-est, ancora avanti due chilometri c.a., si intuisce, tra significativi rilievi, la presenza della conca glaciale della Duchessa.
Siamo ora fiancheggiati, dal sistema montuoso del Murolungo (q. 2184), che si erge alto e maestoso, con i suoi bianchi pinnacoli dolomitici. Dall’alto, in diagonale, ci giunge lo scampanio di mucche brade al pascolo, la vista della loro minuta dimensione ci fa capire quanto siano distanti da noi.
Sulla sinistra ci osserva, sornione, Monte Morrone (q. 2141) alberato fino ad una certa altezza. Da su giungono latrati di lupo, deve essere un’intera famiglia marsicana, forse è anche presente qualche cucciolo dai guaiti percepiti. Si intuisce che si stanno allontanando da noi in linea parallela, nella direzione opposta al nostro senso di marcia, disturbati dalla nostra presenza. Su questi monti, oltre al lupo, tra le specie in estinzione, sono ancora presenti orsi bruni seppur di passaggio, gatti selvatici, caprioli, cervi, martore, mentre convivono due specie di vipere, la comune e la orsini. In cielo intrecciano voli aquile e grifoni.
Questi superstiti sono frutto del rispetto e protezione dell’uomo saggio, per l’ambiente e per i suoi sacri abitanti, posti sotto sua tutela, che vuole mantenere inalterati nel tempo.
Un’isola felice questa “Duchessa”, ove andrebbe protetta anche la categoria “pecorai”, vicina all’estinzione, facente parte di un ecosistema, perfetto ed equilibrato, giunto a noi dopo un lungo percorso prossimo al capolinea!
Mentre ci avviciniamo ad alcuni stazzi, superato un grazioso rifugio sulla nostra sinistra, ci vengono incontro alcuni cani pastori abruzzesi. Appartengono a Gregorio, fiero pastore, che ci accoglie festosamente. L’uomo campa felice vendendo prodotti biologici dei suoi pascoli, tutti “nature”!
Vuol parlare il pastore, chiede di noi. Solite note di Frittole “chi siete donde venite”, si interessa alla nostra età, gioendo quando trova un quasi coetaneo, che abbraccia affettuosamente, e Lorenzo fa al suo caso. Sta seduto imponente su un cumulo di sassi, a fianco del nostro cammino, con un gran cappellaccio, a corta tesa, calcato in testa, a destra il segno del comando, una bella verga “d’avellano”.
Ci scruta, con i suoi acuti sensi, forte la sua, curiosità, gran voglia di conversare. Da tempo, avvertito del nostro arrivo dai suoi cani, ci aspettava con impazienza!. Il prezzo da pagare, un gradevole colloquio! Ben poca cosa in cambio del suo esempio e delle sue indicazioni! Gregorio è il vero totem dei Monti della Duchessa.
“Questi rifugi, questi stazzi li ho eretti io con l’aiuto dei miei figli”, annuisce, “su terreni della Riserva”. Anche lui va ringraziato per questo mondo giunto intatto ed inalterato, e per i meravigliosi sentieri tracciati fin dalla notte dei tempi. Ama, ripagato, le sue terre e gioisce, quando vengono visitate ed apprezzate.
Grazie Gregorio Langiotti, pastore tra Lazio ed Abruzzo, coniugato Fiori Fiorina, residente fuori dell’alpeggio, nel vicino paese di S. Anatolia”.Qui presente da marzo a novembre, fin quando la neve ed un freddo impossibile non giungono sul luogo.
Prima di proseguire per l’evidente sentiero che porta al Lago, ci abbeveriamo alle gustose e fresche acque di una sorgente, in esercizio per gli escursionisti!
Ancora un ultimo sforzo per i nostri pedestri mezzi di locomozione ed eccoci là, sull’alto dei bordi montani elevati, che circondano la “Duchessa”. Il lago presenta una discreta portata d’acqua, azzurrina come il cielo, che riflette verso di noi.
Originatosi nell’ultima glaciazione (Wurm), è giunto quasi integro fino ai nostri giorni. E’ la sua giusta dimensione, così placido, adagiato nella sua conca, che non ha permesso al ghiacciaio presente, un’azione forte e dinamica contro le rocce circondanti il suo alveo. Hanno giocato a suo favore un paio di inghiottitoi, che entrano in funzione quando si sciolgono i ghiacci, portando chissà dove le sue acque, impedendo però un lento e deciso scivolamento della massa ghiacciata in scioglimento verso valle.
Probabilmente nel corso dell’anno il lago non si prosciuga mai garantendo sopravvivenza agli animali bradi che qui intorno vivono. Le nevicate invernali eleveranno di nuovo il livello delle acque, perpetuando il ciclo vitale del particolare macro e microsistema che rotea qui intorno.
I Valloni del Cieco/Fua e della Val di Teve, vie di accesso al luogo, sono frutto di due morene del ghiacciaio, che hanno inciso parzialmente le rocce carsiche, permettendo al luogo di mantenere quasi inalterato il proprio aspetto primordiale.
Ma il momento più rischioso di prosciugamento quel bacino lo corse quando si diffuse la notizia che i rapitori di Aldo Moro, vi avevano gettato dentro il corpo dello statista. Ma come è noto, l’informazione si rivelò falsa e fuorviante.
Questo grazioso specchio d’acqua, dall’aspetto dell’infinito matematico, è di una innegabile bellezza che si può abbracciare tutta entro la dimensione di un solo sguardo. La sua vista riempie i nostri cuori di serenità e gioia perché lui, da sotto, sornione ci sorride e si mostra volentieri. Equini, bovini ed ovini, per raggiungere la riva da lontani pascoli si alternano, suddivisi in mandrie, seguendo i rintocchi dei campanacci delle guide. A turno tutti si immergono nel lago per dissetarsi e per allontanare la miriade di insetti molesti che si avventa sulla loro pelle, e che si nutrono dei loro sani umori. Soddisfatta la necessità giornaliera di acqua, ciascuna mandria riprende la via montana pacatamente e con versi senza tempo, provocando solleciti dei nuovi arrivati, posti in coda.
Di animali qui ce ne sono tanti, di tutte le razze, una mucca bruna svizzera, un toro nero come la notte che spicca, molte chianine, qualche birracchio. Cavalli “bai”, ed una coppia di “appaloosi”, che si pavoneggia su tutti.
Ovunque per l’aria tranquilla un dolce frastuono, muggiti, nitriti e belati che non guasta e si eleva in cielo, magnificato dalla naturale cassa armonica dei rilievi. Sono versi di saluto, commiato, invito, protesta e prepotenza.
E’ interessante osservare il comportamento di questi animali! C’è ad esempio, una bella mucca, dall’aspetto piuttosto mascolino, che salta più volte con le zampe anteriori sopra un’amica ad imitare il verso della monta! Ma ci sarebbe tanto altro da annotare per lo studio di questi animali e del loro non improvvisato comportamento.
Ma noi, inavvertitamente, ci siamo stravaccati sopra un tratturo a pranzare, quand’ecco che una mandria di buoi ci viene impassibilmente contro. La guida “campanata” si arresta a pochi metri da noi, ci fissa e batte uno zoccolo a terra. E’ un bell’esemplare dalle dimensioni notevoli, forse in combattimento a quasi perduto del tutto un corno. Ma noi non intendiamo spostarci. Siamo sbracati a terra, discinti, intenti a rifocillarci. Basterebbe una loro minima reazione, pur provati, per farci volare sulle nostre gambe!
Noi “butteri”, “maremmani”, abituati agli incontri ravvicinati con le nostre agili e forti “podoliche”, non temiamo affatto queste situazioni. Con gesti ed urla etrusche allontaniamo abilmente la mandria, che disordinatamente dilaga. Ricreare poi, immediatamente un buon rapporto, e ricompattare amicizia, è cosa nostra, con linguaggi e sguardi profondi.
E’ qui, su queste “erme” montagne, che prendiamo atto e più coscienza di noi e del nostro essere. Avvertiamo più vicino l’universo e si esalta in noi, forte, il senso dell’immensità ed infinito, più che altrove. Su queste alte vette, sopra il piccolo mondo dell’uomo e le sue beghe, ci lasciamo cullare, dal lento verso dei pascoli. Ma per un solo momento soltanto, profondo interminabile, con le nostre menti soverchiate da mille pensieri, che rapidamente si dissolvono, isolati nel verde cangiante di prati rigogliosi, costellati dal tripudio di una miriade di fiori alpini. E quando torna forte il pensiero del ritorno, vorremmo desistere e perderci nel fantastico mondo di Gregorio, tra effluvi agresti e pastorali, che rammentano in noi recondite memorie, come un sogno che rivive un impalpabile passato, in una notte di “mezza estate” .
Vanì, 14/07/2010
(**) Cartore Piccolo borgo disabitato, rigorosamente ricostruito in sasso secondo le originarie architetture. Fu Castro romano ( Castrum Torae) delle legioni pronte a sferrare un attacco agli Equi, antichi abitanti del luogo. Presenti due pievi, di San Lorenzo e San Leonardo, eccessive per un pugno di case, onde è presumibile che siano state erette in periodo Paleocristiano su templi antichi. Gli ultimi due abitanti del borgo furono Eusebio Di Carlo (90 anni) e la moglie Annunziata Rubeis (80). Nel 2003, Eusebio, dopo la morte della moglie, ha lasciato il posto per raggiungere altrove i propri figli. Un tempo e per circa tre mesi, i Di Carlo hanno condiviso Cartore con Renè Vallanzasca, che aveva occupato un casale diruto. Mai hanno sospettato i due, che quell’uomo, dai modi garbati e gentili fosse stato in realtà quel pericoloso latitante.
(*) Il lago deve il proprio nome alla Duchessa Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V. Rimasta vedova a soli 17 anni, coniugata con Alessandro de’ Medici Duca di Firenze, venne data in sposa ad Ottavio Farnese, nipote prediletto di Papa Paolo terzo ( Farnese ). Ottavio aveva allora 15 anni e l’unione si rinsaldò molto più tardi, quando il Farnese venne posto a capo del Ducato di Parma e Piacenza, sotto la compiacenza del Papa. Fu comunque il bolognese ing. De Pegni (1500) a dedicare il lago alla Duchessa. L’uomo, valente cartografo, era fortemente legato ai territori d’Abruzzo e del Lazio. Scalò con l’ausilio di guide il Corno Grande ed inoltre, l’Ing. si fece calare nel lago di Nemi, entro un primordiale batiscafo, per localizzare le navi romane di Caligola, ricordate dalle memorie storiche.
IL DISLIVELLO |
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LE FOTO
FOTO DI ACE, CAMELIA, CHIERICO, VANI'-