Luni non smentisce mai il suo fascino, nemmeno sotto una pioggia incessante di una incerta giornata del mese più pazzo. Le sue macchie, i suoi sfondi, l’aria si tingono di verde vescica mentre la brezze marine risalenti dal mare l’ampia valle del Mignone, impregnate di salsi effluvi trasportano una tenue nebbia, ovattando il cielo e sfumando l’orizzonte.
L’escursione prevedeva di raggiungere Luni, attraverso la più lunga galleria della dismessa linea ferroviaria Civitavecchia/Orte (oltre un chilometro e mezzo di buio profondo). Per l’appunto, tutti i trekkisti, erano muniti di torcia elettrica, ma il nostro, in testa al convoglio delle vetture, con il fuoristrada blu, alquanto preso dal controllo del fondo stradale della Via del Marano, ridotto ad un autentico percorso di guerra dalla stagione delle grandi piogge, non ha notato il piccolo accesso alla galleria sulla destra della strada. Forse era coperto dalla incipiente vegetazione, forse è l’incipiente vecchiaia …
Quindi parati gli improperi di alcuni, e varie minacce di abbandono per altri più economici ed affidabili accompagnatori, il Nostro sanciva l’inizio escursione dal Casalone, luogo di partenza posta ben due chilometri avanti quella prevista. Che poi, la discesa dal Casalone, non è che la classica escursione verso Luni, per chi sale dai Monti della Tolfa. Ma forse l’inconveniente ci ha involontariamente salvati dalla fitta acqua che verso le ore 15.30 si è abbattuta sul luogo, ove avremmo dovuto portare a compimento l’operazione “spola”.
Noi frattanto discendiamo la costa, verso il Mignone, attraverso una sconosciuta strada medievale. Una selciatela dissestata, riconoscibile dalle pietre conficcate nel terreno. Di quando in quando Angelo segnalava ad Augusto e Liviana, con strisce di carta giallo-rossa sui rami, il sentiero percorso. I due, giunti in ritardo all’appuntamento, volevano raggiungerci prima che entrassimo nel Parco.
Il sentiero argilloso si presentava ben asciutto, dalla forte bora di tramontana che per dieci giorni ha flagellato la Tuscia, ma le foglie che a tratti lo ricoprivano erano più scivolose della sciolina. Più avanti intercettiamo il fiume che, pur ridotto di portata da ben quindici giorni di alta pressione, riempie ancora, impetuoso, gli argini storici. Ma basta vedere sulle sue sponde l’intenso lavoro di erosione che le forti piene hanno prodotto, per capirne il carattere estroverso ed impulsivo. L’attuale situazione del suo impluvio è piuttosto precaria. Questo, ormai privo per molti tratti di vegetazione, riversa nell’alveo rapidamente, nel termine di 6 o 7 ore, tutto il potenziale delle piogge torrenziali ricevuto. E poi con altrettanta velocità l’acqua del fiume raggiunge la foce in mare. Questo effetto valanga, travolge tutto, finché quando la piena è terminata, ovunque, in mare, sul lido e sui prati litoranei si deposita un limo prodigioso.
Ripieghiamo verso nord ovest, lasciando, sulla nostra destra, la ben nota “Costa Lombarda”, ove fino a qualche tempo fa, erano visibili tracce di un cimitero Longobardo, delimitato da enormi macigni parallelepipedi. Questi stanno a ricordare, con i toponimi di Poggio Baldone, Chiesa di San Michele Arcangelo sul Monte e Fontanile di Poggio Baldone, la dominazione di quel popolo sul luogo, avvenuta nel settimo secolo dopo Cristo.
Compattati nella valle i ben 50 Tibur’s, facciamo rotta “a vista” verso Ponte di Ferro. Nel frattempo sopravvengono Augusto e Liviana, che sorvolando il bosco ci hanno raggiunto anzitempo. Ora siamo a ridosso del famoso Ponte quando comincia a scendere una timida pioggerella, tanto gaia, tepida e convincente che alcuni provano piacere a sentirsela cadere sul viso.
Risaliamo con difficoltà il tratto roccioso dell’Acropoli, reso scivoloso dall’acqua piovana. Ma inconvenienti nessuno. Finalmente raggiungiamo la casa del Ras del Villaggio e l’annessa area cultuale. Sostiamo proficuamente all’asciutto sotto il capannone di protezione della zona archeologica, frattanto il cielo ha assunto un colore plumbeo, è acqua senza tregua, per cui pranziamo prendendocela piuttosto “comoda” mentre tutto intorno, a 360 gradi, ed oltre, è pioggia.
Alcune ancelle riescono perfino ad accendere un sacro fuoco sacrificale per carni dai più disparati aspetti. Poi c’è il momento culturale del Tiburzi, ma inaspettatamente, si scatena un derby poetico: “Lazio-Napoli”. Bravo come al solito Emilio, cantautore con dedica per il Nostro che compie 41 anni di matrimonio …, ma bravo anche il Comandante (Daniele) che declama alcune gustose poesie in dialetto napoletano, rese comprensibili dai gesti e dalla mimica facciale.
La giuria corruttibile dichiara: “match pari”. Il tutto si svolge sotto gli auspici del Ras di Luni, di fronte all’austera area cultuale del periodo del ferro, poi etrusca ed infine Paleocristiana, su cui aleggia un minuscolo … tophet, che per la verità impensierisce il Nostro ed incute un profondo rispetto e timore per quello che era, un tempo remoto il rituale di quel cimitero (non dimentichiamo il sacrificio dei primogeniti voluta in Israele al tempo di Erode).
IL TOPHET
Il crudele sacrificio di fanciulli tributati dai cartaginesi alle divinità di Baal e Tanit. La cerimonia religiosa è mirabilmente narrata da Diodoro Siculo in uno dei suoi passi più noti (XX 14-6: “ Si trova infatti presso i Cartaginesi una statua in bronzo di Cronos, che propendeva le mani aperte così inclinate verso il basso che il fanciullo lì posto, rotolava e precipitava in una voragine di fuoco, alla presenza dei partenti ai quali era vietato di piangere per non vanificare col rammarico, il valore del sacrificio che portava alla divinizzazione dei fanciulli sacrificati”).
(Selinunte – il fascino della civiltà greca e cartaginese. Edizioni Di Giovanni - 1997).
Dopo pranzo passiamo velocemente dall’era dei dolci ed a quella dei sommelier. Poi liquore e caffè, ove risultano classificati, a pari merito, Aldo ( infuso al gusto classico di erbe aromatiche), ed Agostino (infuso al cioccolato).
Ma il Nostro, incastrato da discorsi “tedeschi” di alcuni, non fiduciosi sul tempo, traccia un veloce programma e proclama: “si riprenda il cammino in direzione est, tagliata etrusca”.
Sotto il Fornicchio si farà di nuovo il punto meteo, e poi: si va a sinistra, verso il guado del Canino, per peggioramento di condizioni “atmos” in corso, o diritti, sulla capanna appenninica “tre erici” se si dovesse allargare quella striscia di luce sopra Civitella/Lago di Vico.
Ma sotto il Fornicchio, inaspettatamente, il cielo si apre, tanto che sembra quasi voler apparire il disco solare. Ma è solo un imbocco! Ed il Nostro … purtroppo abbocca. Quindi diritti verso le case di tufo, mura ciclopiche, porta est e poi direttissima per il Vesca.
Sempre bello e suggestivo il Vesca fiero e limpido nelle sue acque, ma vederlo in piena è tutt’altra cosa! Poi giù giù fino alla sua confluenza con “minio flumen”. Ovunque aspetti naturali selvaggi, due tufi dal peso di quintali si sono fermati, in bilico, ad alcuni metri da terra, su un tronco posto in diagonale. Verso le alte rocce di Luni, alcuni ciclopici pinnacoli di tufo sono precipitati più sotto trattenuti a stento, dall’alta vegetazione del bagolaro. Nel frattempo il cielo si è richiuso, sono ricominciate le cateratte di pioggia! Ma abbiamo ormai riguadagnato il livello del ponte ferrato, e tutti hanno preso le dovute precauzioni contro l‘acqua battente. Ovunque immagini di Tibur’s mantellati, kway gialli, azzurri e di altre tinte accese, poi gran dispiego di ombrelli. Ma la risalita del Casalone ci si presenta difficoltosa, ci fa mangiare tanto di quel fango argilloso, allentatosi dalla pioggia battente, gli scarponi sono ormai monocolori, con suole doppio strato.
Poi finalmente siamo alle macchine - partenza sulla Via del Marano – direzione Tolfa – con riscaldamento vettura a “palla", anche per colpa di qualche strip di indumenti zuppi!!
LA LINEA FERROVIARIA CIVITAVECCHIA – ORTE
Già fin dal 1870 a qualcuno venne l’idea di costruire una tratta ferroviaria che collegasse i porti di Civitavecchia e di Ancona per creare presupposti di insediamenti industriali nel Centro Italia, piuttosto depresso. Le acciaierie di Terni, entrate funzione da quell’anno, si rifornivano di materiali ferrosi dalla ex Unione Sovietica che, pretendeva di attraccare le proprie navi soltanto nei due porti, con particolare predilezione per lo scalo civitavecchiese.
Doveva comunque passare circa mezzo secolo prima che maturassero i tempi politici (NdR: lunghe disquisizioni su quale dei 4 proposti tracciati fosse il migliore! Evidentemente la direttrice tirreno-adriatico è invisa a Qualcunio se anche la E65 è da 40 anni che deve essere completata e la ferrovia non c'è più!) e si vedesse realizzata quella linea ferroviaria, lunga ben 78 chilometri ma con capolinea Orte/Scalo e non Ancona come auspicato. Nel 1928 venne fatto il primo viaggio inaugurale. I treni erano trainati da locomotive a vapore. I macchinisti caricavano, con la pala, il carbone entro gli arroventati forni che portando in ebollizione l’acqua, creavano vapore acqueo ad alta pressione entro le caldaie. Il flusso di vapore veniva inviato verso enormi pistoni, da questi il movimento giungeva alle bielle e poi infine sulle ruote. Ma solo il 28/10/1928 la linea venne regolarmente aperta al traffico merci e passeggeri 1^, 2^ e 3^ classe. E val la pena di elencare tutte le località della Tuscia raggiunte dalla nuova opera, ove i comprensori, contavano di uscire da secolari isolamenti, riponendo nella tratta ferroviaria realizzata, molte speranze sul loro futuro economico.
STAZIONI SULLA LINEA CIVITAVECCHIA-ORTE: Civitavecchia - Aurelia (per Lo stabilimento industriale SPCN) – Allumiere - Monteromano (Luni sul Mignone) - Civitella Cesi – Bieda – Bandita di Barbarano – Barbarano Romano – Capranica – Ronciglione – Caprarola – Fabbrica di Roma – Valleranno – Gallese – Castel Bagnolo – Orte.
Nel 1935, venne soppressa la prima classe, per mancanza di richieste. Nel 1936 vennero poste sulla tratta le littorine Breda a nafta, risultate subito idonee per l’esercizio. Durante il periodo bellico la ferrovia continua a svolgere la sua funzione ma gli alleati, per precludere una linea di fuga ai tedeschi, bombardarono il ponte sul Fiume Mignone, nei pressi della Stazione di Monteromano (sic). Nel dopo guerra, ripristinata la linea, viene soppressa anche la seconda classe per mancanza di viaggiatori. Nel 1963, venne soppressa la linea ferroviaria, tranne che per qualche traffico locale.
Ma c’è chi su quel treno ha viaggiato traversando una delle regioni più suggestive d’Italia, tra forre inusitate, boschi di fiorite ginestre, forteti di bianco spino, entro balze continuamente mosse, isolate da corsi d’acqua irregolari ed estemporanei. Ovunque domi vulcanici e dietro, paesini di tufo, autentici presepi di architettura medievale. C’era chi andava e veniva per autentico piacere, chi per lavoro visitava fiere o chi intraprendeva un viaggio di un paio d’ore, per ritrovare parenti etruschi del viterbese, “rimasti” in paese perché indissolubilmente legati alle proprie radici. Ma la loro caparbietà, l’attaccamento alla loro terra farà sopravvivere quei piccoli centri. Alla sera, si tornava a casa sempre con un piccolo “pensiero” di paese: “un canestro foderato di foglie di fico pieno di nocchie, di nespole aspre, di dolcissima uva dal grappolo fitto di acini tondi, a ricoprire tutto smelati fichi brogiotti oltre all’immancabile fiasco di profumato mosto color rubino.
Vanì, 02-03-2009
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