Oggi, addì 13 dicembre 2009, è giornata riservata al convivio, agli
auguri natalizi, ai convenevoli e ad alcuni “giochi” tiburziani, cui la
Signora Javaly (mia moglie sic.) ci ha ormai, da po’ d’anni, abituati.
Tutte cose da “donnicciole” che non si confanno ad un gruppo fiero, guerriero e brigante come il “Tiburzi”, quindi in un ritaglino della giornata, per un breve “trek” di richiamo, visiteremo alcune meraviglie uniche al mondo, le tombe dipinte di Tarquinia ed il tempio dell’ara della regina.
Il procedimento consiste nel dipingere su un muro intonacato, asciutto od ancora fresco, con colori ad acqua o con pigmenti diluiti nella cera fusa (encausto). Quest’ultima tecnica prevede l’utilizzo della cera fusa al posto dell’acqua, miscelata con le tinte, poi stesa sul muro con spatole di ferro molto calde. La cera rende il colore più vivo, ma le pitture, se non viene seguito il giusto procedimento, risultano molto delicate in fase di allestimento e, poco dopo sensibili al calore, ( l’ultima cena di Leonardo docet), finchè non si fissano sul muro.
La tecnica dell’encausto nasce in Egitto dove, già parecchi anni avanti Cristo, veniva utilizzata per affrescare le tombe dei faraoni. L’encausto venne copiato dai Greci e successivamente importato dai Romani, che realizzarono meravigliosi affreschi per le loro ville, in particolare nella provincia campana o, per impreziosire le residenze degli imperatori.
Cosa diversa è la pittura sul muro che può essere eseguita con tecnica di affresco, in cui molti pittori italiani eccelsero nel rinascimento, od a secco. Il sistema ad affresco permette di ottenere dipinti più stabili sulle pareti, perché il colore steso si asciuga contemporaneamente all’intonaco, quindi i due elementi compenetrandosi saldano tra loro. L’intonaco (o tonachino) viene steso parzialmente ed immediatamente dipinto seguendo immagini (sinopie) precedentemente impresse su un sottostante strato di muro (arriccio). In un momento successivo il lavoro veniva ripreso fino al suo totale completamento.
La pittura su muro a secco, è stata utilizzata già nel
paleolitico (Combe-Capelle), sulle pareti delle grotte preistoriche, e
molti anni dopo, per dipingere le tombe di Tarquinia,Vulci ( Tomba
Francois ) oltre a quelle di altre località dell’Etruria. La stessa
tecnica potrebbero aver seguito i pittori che realizzarono gli
affreschi sull’isola di Santorini nel 1600 c.a. a.C.
Tornando alle tombe etrusche di Tarquinia, è importante rilevare che i volti dipinti sono stati chiaramente eseguiti ritraendo il volto dei defunti, rifuggendo stereotipi, riservati a personaggi di contorno inclusi a margine dell’opera pittorica. La costruzione e pittura delle tombe etrusche precedeva la dipartita dei committenti, che pianificavano il loro funerale, vivendolo in anteprima.
Passiamo
ora ad enunciare parte delle tombe più note secondo il loro
onomastico o numero di riferimento, attribuiti dagli archeologi. Le
tombe affrescate di un certo rilievo, in Tarquinia, sono circa 100,
ma ogni giorno che passa, con immenso nostro piacere, ne vengono alla
luce sempre di nuove. Sul colle di Monterozzi, tante sono le tombe a
camera che non affrescate o recanti soltanto cornici presentano
scarso interesse archeologico, forse due o tremila, che esaminate
con sistemi “periscopici”, sono state lasciate in pace per
l’eternità.
Le tombe più note sulla necropoli dei “Monterozzi”:
808 - 939 - 994 - 1200 - 1560 - 1646 - 1822 - 1999 - 2015 - 2327 -
3098
- 3226 - 3242 - 3697 - 3713 - 4780 - 4912 - 5512 - 5513 - 5591 - 5636 -
Anina - Auguri - Baccanti - Barone - Bartoccini - Bertazzoni - Biclinio
- Bighe - Bruschi - Caccia al Cervo - Caccia e Pesca - Cacciatore -
Capanna - Cardarelli - Cardinale - Caronti - Convegno - Citaredo -
Demoni Azzurri - Festoni - Fiore di Loto - Fustigazione - Gallo -
Giglioli - Giocolieri - Giustiniani - Gorgoneion - Guerriero -
Iscrizioni - Leonesse - Leoni di Giada - Leoni Rossi - Leopardi - Letto
Funebre - Loculi - Maestro delle Olimpiadi - Maggi - Mare - Mercareccia
- Morente - Morto - Nave - Olimpiadi - Orco - Pantere - Pigmei
-Pulcella - Pulcinella - Querciola - Scudi - Sculture - Teschio -
Tifone - Topolino - Tori - Triclinio - Tritoni - Vasi dipinti
(Internet – fonte “CANINO.INFO”).
Sorge sul Colle della Civita, parallelo a quello ove era ubicata Cornietum. Il complesso, posto al margine sud dell’antico abitato di Tarchna, dominante la vallata del fosso S.Savino, fu costruito nel IV secolo a.C. sui fondamenti di un precedente tempio del periodo arcaico (VI secolo a.C.). Le sue proporzioni non rispondono a quelle di stile tuscanico,(6/5) ma molte altre caratteristiche lo associano a quell’ordine (Vitruvio).
Era il più grande altare del mondo etrusco, costruito con il contributo della dodecapoli per la sua capitale, forse dedicato alla etrusca Artumes, Artemide greca, la Diana romana. Composto da un enorme basamento su cui poggiava il tempio, nel cui interno era ricavata una cella delimitata da due ali, Il cui fondo era diviso in tre ambienti, forse dedicati ai personaggi della triade etrusca, Uni Menerva e Tinia? Oppure alle divinità fenice greche ed etrusche come nel tempio del porto tarquiniese di gravisca?
Sul davanti si elevavano quattro colonne tuscaniche terminanti su una gradinata. Ma le parti più esaltanti dovevano essere il fronte ed i lati maggiori. Sul frontone della parte anteriore, spiccavano i famosi cavalli alati, decorati in altorilievo su lastra fittile. Presumibilmente i due cavalli facevano parte di una più ampia opera coroplastica, ove era rappresentato Elio, dio del sole sul carro, trainato dai cavalli. Purtroppo ci è pervenuto soltanto il frammento dei cavalli, la restante parte, forse, giace frantumata sotto la coltre terrosa. Mentre il tetto dei lati maggiori, coperto da tegole e coppi terminava con antefisse in terracotta, dalla cui bocca fuoriusciva l’acqua piovana displuviata.
C’è chi tramanda che nel luogo ove sorge l’altare, Tarconte, mentre arava il suo podere, nel volgere indietro lo sguardo per controllare il lavoro fatto, vide nascere da un solco appena tracciato, un bambino, che con estrema semplicità comincio a parlare e cantare. Tarconte, a quella vista, terrorizzato, cominciò ad urlare, attirando l’attenzione di molte persone, fra cui i sacerdoti etruschi. Il fanciullo, giovane ma insieme sapiente come un vecchio, disse di chiamarsi Tagete. Quando ebbe finito di cantare, morì. I suoi versi divennero poi i libri sacri della dottrina etrusca.
E’ comunque certo che sul luogo vennero sacrificati 307 romani, imprigionati durante il primo attacco di Roma (358 a.C.). Gli ultimi scavi archeologici resero, infatti, alcuni scheletri, sepolti attorno al perimetro del tempio, che recavano chiari segni di violenza riconducibili al sacrificio.
Vanì 13/12/09
PUBLISHED BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.