La giornata è cominciata male e, come recita un noto adagio, doveva finire “peggio”. Invece non è stato così. Nel corso della mattinata, l’apparizione del disco solare, ha fatto assumere una diversa connotazione ai colori del cielo, del bosco, ai volti delle comparse.
Alle ore 8.15 una pruinosa pioggia aveva cominciato ad attecchire sui vetri delle nostre vetture ed era poca cosa ad osservare il cielo, così plumbeo e minaccioso. Ciò ha condizionato un po’ tutto il nostro programma, dal percorso rabberciato, alle strategie di attacco del territorio ridotte ed abbassato l’umore generale. Ma cos’altro ci mancava sul proscenio del giorno, forse la “cacciarella”! E questa è arrivata puntuale.
Quando siamo arrivati sul posto di partenza, un orda di cacciatori aveva già circondato Monte Cucco, con intenzioni ben precise: occupare il bosco ed abbattere cinghiali. Ho più volte notato che un uomo, in possesso di un’arma da fuoco, cambia radicalmente il proprio atteggiamento nei confronti del prossimo e dell’ambiente. Ma, per fortuna avevamo Agostino tra noi, il quale, da ex cacciatore, ci ha fatto da tramite contro quella masnada armata, che si agitava con alterigia, doppiette in spalla. Circolare nei boschi quando questi signori vanno a caccia, non è tanto igienico. Giacché, da quanto si é capito, alcuni di loro sparano al solo rumore di frasche mosse, ancor prima di vedere la preda. Comunque il nostro itinerario sfiora il loro territorio di caccia e pertanto ci avviamo, con comprensibile ma controllato timore, entro un sentiero circondato da una fitta boscaglia di querce color rosso ruggine, dal tronco martoriato dal vento. Raggiungiamo brevemente un corso d’acqua che, per nostra convenienza chiameremo fosso della “vecchia”, anche questo davvero bello, seppure in secca, che circoscrive il poggio ovest di Monte Cucco. Avanti, dopo una breve sella c’è Montecucchetto.
Dopo alcuni chilometri di cammino fiancheggiamo la riva destra del fosso, molto caratteristica per l’andamento irregolare del terreno. Su in alto notiamo il versante est di un colle, detto delle Argentelle, vestito a nuovo. Da qui infatti la bassa vegetazione mediterranea, già rappresentata da ginestra, pero ed olivo selvatici (pyrus Pyraster ed olea oleaster), cardo selvatico e qualche sporadico, ma secolare, albero di quercia comune, è stata saggiamente allontanata ed al suo posto è sorto un bel villaggio residenziale con eleganti ed imponenti ville.
Ma non si tratta delle solite costruzioni ordinarie e impopolari del tipo a schiera, che spesso deteriorano gli ambienti naturali, bensì di ville su più piani, circondate da ampi spazi, con una meravigliosa vista sulla città e porto di Civitavecchia. E pensare che nessuno aveva notato quel villaggio, se non fosse stato per gli abitanti del Casaletto Rosso, che ad un certo punto, accortisi che dai propri rubinetti non sgorgava regolarmente l’acqua potabile, hanno alzato lo sguardo verso nord e notato quello splendido complesso residenziale sorto così, dal nulla, su una insignificante collina.
Ma noi proseguiamo il sentiero verso sud sud-ovest avvertendo, di quando in quando spari di fucile da caccia provenienti sulla nostra sinistra ed avanti alla nostra direzione. Il Gruppo si contrae ed è irrequieto. Cerco di tranquillizzare un po’ tutti. Si tratta di un incontro non ravvicinato con i battitori che cercano, con mezzi spari, di spingere i cinghiali verso le poste, sistemate sul versante est di Monte Cucco, opposto alla nostra direzione di marcia. Questi battitori con l’ausilio di branchi di segugi braccano senza sosta i cinghiali che non hanno alternative vie di fuga, ma corridoi prefissati del bosco. Usciranno sul “pulito”, sosteranno qui alcuni secondi per scegliere la direzione più conveniente. E quell’attimo sarà loro fatale perché i cacciatori, sulle poste, difficilmente mancano la preda.
Ho spesso incontrato, nel corso delle mie uscite, cinghiali anche di dimensioni notevoli. Ad alcuni sono giunto anche a breve distanza e mai ho subito un’aggressione da parte loro. Dal carattere timido, non capiscono che nel bosco non c’è alcuno capace di poterli contrastare, ad armi pari. La loro forza è impressionante, quando sono lanciati in fracasso, giù per i forteti, inseguiti da orde di cani, gli scopeti si agitano come onde, travolgono tutto ciò che si trova avanti il loro cammino. Perfino il filo spinato, se colpito quando sono in corsa con la loro robusta schiena, si spezza con un rumore di vibrazione metallica che si avverte a distanza. Dispongono poi di due lunghi e ritorti denti, affilati come coltelli, sporgenti lateralmente dalla loro bocca. Di questi ne fanno le spese i cani delle “cacciarelle”, quando l’animale braccato imbocca un sentiero cieco. Si siede allora sulle gambe posteriori ed attende con calma l’aggressione di questi sciagurati. Ad uno ad uno li punta, così seduto e, quando giungono a portata di zanne, li colpisce con il muso, con un movimento dal basso verso l’alto, con una tale irruenza, infilzandoli per la pancia. I poveretti vengono scaraventati in aria quattro o cinque metri, rovinando al suolo con squarci e ferite spaventose, lunghi trenta quaranta centimetri, con fuoriuscita degli organi intestinali, tra strazianti guaiti.
Quei poveri diavoli che non finiscono subito la loro esistenza sotto le zanne del cinghiale, saranno poi abbattuti, perché irrecuperabili e anche per evitare loro una lunga agonia tra dolorose sofferenze. Gli animali più abili, raggiungono quotazioni di tremila e più euro, od anche se discendenti da esemplari noti in certi ambienti di caccia. Quindi pensate al danno economico subìto dai cacciatori, pur trascurando quello affettivo ed un po’ di etica.
Ed ora mi torna in mente un episodio di tanti anni fa, e mi scuso per questa breve digressione. Nel lontano 1978 ero un fungarolo spietato. Andavo per boschi sempre solo, perché geloso dei miei territori, portando al seguito un piccolo pranzo al sacco. Monitoravo i periodi di pioggia, il grado di umidità dell’aria nei periodi di fioritura, dei vari miceli, dei carpofori da me raccolti; battevo i boschi della Toscana e del Lazio. Potevo inoltre contare, in Toscana, di informatori locali che interpellavo nei momenti in cui sospettavo l’incipiente raccolta. Entravo nei boschi anche in presenza di forti acquazzoni, munito di attrezzature antipioggia, antistrappo. Un giorno partii da Civitavecchia la sera precedente la mia prima uscita stagionale e non riuscendo a dormire la notte per la forte emozione che preludeva la raccolta, nella casa di Toscana dei miei suoceri, mi avviai di buon ora nel bosco. Quel giorno avevo intercettato la prima abbondante “cacciata” di porcini del tipo “boletus aereus”. Ciò che di meglio possono offrire i nostri boschi.
Ne trovai tanti, tutti boccioli da collezione. Avevo già riempito, svuotando il canestro di raccolta più volte, quattro o cinque buste di plastica e nascoste in vari posti del bosco, quando mi accorgo che in Poggio Spada, ove mi trovavo, dal trambusto che giungeva alle mie orecchie, era in atto una cacciarella. In Toscana tale caccia ha un diverso rituale che da noi. I battitori, numerosi, posti in linea si presentano ciascuno con un guinzaglio a cui é legata una muta di numerosi cani. Ed è bello vedere soprattutto come sono vestiti questi signori. Pantaloni di fustagno, giacche di velluto o loden, eleganti cappelli con piume. Ed i loro cani poi, con guinzagli in pelle marrone, tutti segugi il cui manto vira dal colore marrone chiaro al marrone scuro. Al seguito portano cagnolini della stessa razza, non legati, cui cercano di inculcare i preliminari di battuta.
Ero purtroppo capitato, anche quella volta, nel mezzo di una battuta al cinghiale. Ed in questi casi si sa, vince sempre il più forte, pur avendo ciascuno di noi ugual diritto di transitare entro territori demaniali. Nel frattempo erano già partiti i battitori con avanti le mute dei cani. Si avvertiva già il contatto di questi con i cinghiali dalle scatenate “canizze”, che venivano accompagnate con spari di mezze cartucce e castagnole. D’un tratto avverto, vicino a me, una serie di fruscii, prodotti da qualcuno che correva all’impazzata. Avevo già superato metà del colle ed ero all’incirca ad un paio di chilometri dalle squadre dei battitori, mentre avevo le poste pressappoco a tre chilometri avanti, quando vengo raggiunto da frotte di cinghiali impazziti, che non si curano affatto della mia presenza, eppure avevo cercato di allontanarmi dal luogo di caccia salendo in direzione diagonale Gli animali mi passano quasi accanto ad una velocità sorprendente, continuando imperterriti lungo la loro via di fuga.
Sono dunque costretto ad affrettare il mio passo, per evitare un incontro ravvicinato con i battitori, con i quali ho avuto spesso divergenti scambi di opinione. Devìo il percorso, passando per Poggio Tondo e poi per Col Baroncio, ove raccolgo ugualmente una gran quantità di funghi.
Giunto al termine della giornata, mi porto alla macchina ove avevo, nel bagagliaio, alcuni scatoloni di cartone in cui riponevo, con un certo ordine i funghi trovati. E’ qui che mi accorgo che un piccolo segugio, avrà avuto non più di due mesi, mi aveva seguito in silenzio, abbandonando tutti i suoi amici, percorrendo dietro di me almeno 15 chilometri. E non c’era verso di mandarlo via, mi guardava con i suoi occhioni neri ed era un piacere vedere il suo corpicino cosi affusolato ed armonico. Sembrava una statuina di bronzo. Voleva questi ad ogni costo salire sulla mia macchina, leccava i miei stivali e guaiva tutto gioioso. Aveva dunque il cagnolino scelto il suo “padrone”, la cacciarella probabilmente non faceva per lui! E mi aveva seguito per tutto il tempo silenziosamente nel bosco abbandonando quelle persone dai modi burberi e bruschi. Difficilmente mi approprio di cose od animali altrui, eppure c’è stato un momento in cui sono stato tentato di raccoglierlo e portarlo via, pensando al piacere che avrei fatto alla mia piccola Valentina, che allora aveva circa tre anni ed amava follemente i cagnolini. Desistetti da quel proposito cercando di allontanare il cagnolino con frasi dolci ma decise. Misi in moto la macchina e partii sparato. Niente affatto convinto, ho seguito le sue mosse dallo specchietto retrovisore, e l’ho visto inseguirmi per vari chilometri finché non ho perso il contatto con quella bestiolina.
Mentre il nostro Gruppo continuava imperterrito l’escursione scendendo su un’ansa grande del fosso, avvertiamo avanti a noi continue e ravvicinate esplosioni. Alcune donne al seguito, piuttosto risolute, cominciano ad intavolare un discorso repressivo, dapprima in sordina, poi cantato, a distanza con questi battitori, che in realtà poi era uno soltanto ma un po’ corpulento. Quel tale faceva un gran casino, da sembrare tre o quattro persone allo stesso momento. Il tapino lanciava castagnole a destra ed a manca, sparava qualche mezza cartuccia in aria, urlando monosillabi incomprensibili in direzione del bosco: aeeeehhh, …. eooohhh … haoeeeeh… eoehhhh. Lo raggiungiamo e ci chiede collaborazione. E come? Domandiamo! Urlate, fate baccano, dice, farete il gioco della mia cacciarella. Si, ma molti di noi rimasero in silenzio!
Continuiamo il nostro percorso, sempre a ridosso del fosso della "vecchia", cercando di scendere più in basso possibile fino ad intercettare il fosso del Marangone, per allontanarci definitivamente dalle linee di fuoco del fronte. Giunti in fondo ci spostiamo verso ovest fino a rintracciare un fontanile e poi un altro ancora, ove apriamo il nostro bivacco per il pranzo. Quindi zaini all’aria, da cui fuoriesce di tutto, panini imbottiti, dolci, carni da grigliare, castagne da arrostire, vini, caffé e liquori fatti in casa.
Accendiamo un fuoco confortevole, veramente da maestri, dopo aver disposto in circolo una gran quantità di pietre protettive e aver sistemato la legna secondo la sua dimensione. Vengono poi fuori le griglie e le grigliate e, non appena il profumo delle carni e del grasso disciolto dal calore dei tizzoni ardenti si spande per l’aria tutto intorno. I Tiburziani tendono il naso attratti da questi aromi che rievocano sensazioni, ricordi ed episodi ancestrali che sono entro il profondo di ciascuno di noi e che riportano all’uomo preistorico, all’abitare entro grotte o capanne. Alcuni restano interdetti a fissare per minuti le fiamme scoppiettanti che si discostano dal fuoco e volano in alto, altri preparano il "panonto" alla nostra maniera, infilando le carni e le salsicce direttamente su appositi rami freschi del bosco. I più sofisticati sfruttano griglie fossili, raccolte sul posto, dopo averle disinfettate direttamente sul fuoco. Ovunque è una festa, sale l’allegria, i vini corrono tra noi e sgorgano entro le nostre gole, euforia e piacere di gustare i sapori delle carni cotte che tonificano le nostre ormai scarse e ridotte riserve fisiche.
L’aria si é riscaldata, poi c’é il calore del fuoco tutt’intorno e dei timidi raggi di sole che si affacciano qua e là, come fari, attraverso squarci delle nubi in cielo. Giunge ora il momento delle castagne arrosto. Ormai nostro tradizionale piatto natalizio, vengono fatte cuocere su una singolare griglia pensile. Appena giunte al punto "giusto" di cottura, vengono gustate, ancora brucianti, accompagnate da abbondanti libagioni di vini fuoriusciti per incanto dagli zaini ridotti ormai pelle ed ossa, mosci al tatto. E poi c’è il caffè e la parentesi poetica del nostro Emilio!
E’ l’ora della siesta "post-excursum" ma viene indetta, per i più scatenati, una partita di calcio con un pallone di cuoio rinvenuto sul prato.
E’ subito derby: Lazio- Roma.
Quattro bastoni da trekking per segnare le porte, e subito le squadre formate in base all’appartenenza ai due sodalizi ed è partita. Va subito in vantaggio la squadra laziale, mentre la Roma fatica e non riesce a segnare malgrado affondi in area avversaria. Si ripetono rovesci di fronte, quando il centravanti romanista imbrocca un bel tiro che spedisce il pallone ad altezza umana verso la porta avversaria. Ma questa è ben guarnita, dispone di una fila ininterrotta di portieri, che la chiudono tutta a catenaccio, per cui risulta impossibile andare a rete. Ma il pallone lanciato con una discreta potenza, colpisce in fronte Vincenza, che salva strenuamente la partita alla Lazio, ma subisce un trauma facciale conseguente alla rottura degli occhiali da vista (180,00 euro). Sospesa prontamente la partita, la Signora viene debitamente sottoposta alle cure del caso e segnalata a Lotito per un eventuale inserimento nella compagine biancazzurra.
Quindi: Lazio-Roma 1 -0 (sospesa per incidente al 15° del primo tempo)
Non ci resta ora che tornare risalendo il pendio della macchia delle “Carbonare” ove, al culmine, sono poste le nostre automobili, non prima di aver fatto visita ad un cinghiale rinvenuto in avanzato stato di putrefazione, dal grande Girelli, a cui nulla sfugge quando è in fase di perlustrazione (quasi sempre!). Giungiamo prossimi all’animale, avvertiti in anticipo della sua presenza dall’odore forte ed acre della decomposizione. E’ un esemplare enorme, di sesso femminile, desumibile dal volume della testa rispetto al corpo. Si tratta di una "lefa", presenta un ampia ferita nella regione anale, ove presumibilmente è stata colpita da un tiro ravvicinato mentre qualche predatore, dopo che è caduta al suolo, le ha divorato interamente un orecchio e la coscia di una zampa posteriore. La bestia non si è arresa al suo aguzzino, lo ha piantato in asso percorrendo chissà quanti chilometri in quelle condizioni. Presumibilmente poi la sua morte è subentrata dopo vari giorni, non per effetto diretto della ferita, ma per una cancrena incipiente derivata dal piombo avvelenato dalle polveri da sparo. Nella parte posteriore del corpo presenta infatti una larga ferita infetta con evidente stato necrotico avanzato, aggredita da miriadi di larve.
Riteniamo utile, per i nostri adepti, ricordare una breve classificazione della famiglia dei cinghiali, così come la cultura delle nostre parti ci ha tramandato:
BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.