Raggiungiamo lo straordinario agriturismo “Antiquitates” costruito a Civitella, anni or sono dal Sig. Angelo Bartoli. Qualcuno potrebbe domandarsi, fin quando non varca il cancello del complesso con le sue particolari infrastrutture, cosa possa trovarsi di straordinario oggi in un agriturismo. Niente, tranne che qui si possono vedere capanne appenniniche tali e quali a quelle che venivano costruite 4000 anni fa, sui colli circostanti, dall’uomo della civiltà del Bronzo. E sono, queste, perfettamente funzionanti ed abitabili. Di forma circolare possono ospitare gruppi di persone, in qualsiasi periodo dell’anno, essendo state costruite, dal Bartoli, con qualche accorgimento: teli impermeabili posti tra le fascine straminee del tetto e delle pareti, aria condizionata e servizi igienici all’interno. I letti, su più file (a castello) sono disposti circolarmente tutti intorno all’ovale delle pareti. Il complesso, oltre ad una capanna ristorante realizzata in forma rettangolare, dispone di una sala congressi e di un grande laboratorio che simula tutte le fasi dei processi artigianali, metallurgici e chimici raggiunti dalla civiltà etrusca e dalle civiltà precedenti..
ANTIQUITATES |
Caro il nostro poeta, ora anche suonatore e cantante. In seguito, Emilio, cos’altro ci riservi?
Dimenticavo che gli italiani sono soprattutto conosciuti come popolo di poeti, santi, navigatori…e....
San Giovenale é situato su due altopiani tufacei, naturalmente fortificato, delimitato dal torrente Vesca e dai suoi affluenti. Il pianoro, orientato in direzione est–ovest fu abitato, con soluzioni di continuità, dal 1500 a.c. al XIII secolo d.C., inizialmente da popolazioni appenniniche, delle ultime fasi del bronzo, le cui capanne occupavano la parte ovest dell’altopiano, poi da popolazioni etrusche ed infine dall’uomo dell’Alto Medio evo
Queste capanne, costruite con fascine di ginestre, venivano utilizzate nei periodi invernali, da popolazioni pastorali appenniniche che, lasciati i territori innevati del centro Italia, non più pascolabili, giungevano presso i litorali del Lazio con al seguito greggi di 15-20 mila pecore. Impiegavano circa tre settimane a scendere verso il Tirreno, ove sapevano di andare incontro ad inverni miti con la possibilità di pascolare ancora le greggi per prati verdi e rigogliosi. Conosciamo per certo il tempo impiegato da queste popolazioni per scendere verso le nostre terre, per aver conosciuto ed interrogato a Norcia, Benedetto, da noi battezzato “l’ultimo transumante”, su questa interessante attività ormai scomparsa dai nostri territori.
Sappiamo anche che queste popolazioni pastorali percorrevano tratturi poi ricalcati dall’uomo etrusco e, successivamente, da quello romano, poi divenuti Via Flaminia, Strada Valnerina, Via Salaria etc. In particolare il nostro Benedetto, dal Casale Guglielmi dei piani di Castelluccio, e questo accadeva fino al 1950, scendeva verso il mare, con al seguito 20 mila pecore. Per la Valnerina raggiungeva Terni e poi Orte, ripiegando poi per Bagnaia. Sfiorando Viterbo passava poi per Cinello (località Cinelli vicino a Norchia) imboccando poi la sponda destra del Biedano, fino ad uscire sotto Monte Romano. Oltrepassato il paese, immediatamente fuori le mura, girava sulla sinistra per una carrareccia fino ad intercettare il Fiume Mignone. Guadato il Mignone raggiungeva la tenuta della Farnesiana, allora proprietà Gugliemi. Questo accadeva ogni novembre di ciascun anno, quando, sui piani di Castelluccio, la bora balcanica imperversava e la temperatura scendeva anche a meno 15 ed oltre, favorendo abbondanti nevicate. Poi ad Aprile, quando sugli Appennini ritornava la primavera, plotoni di pecore cani e pastori procedevano in senso inverso, lasciando indelebili tracce di percorso sul terreno che ancora oggi, se i tratturi non sono divenuti “strade asfaltate”, sono riconoscibili. Questa transumanza praticata in Italia anche oltre 3500 anni fa, era attiva in San Giovenale nel corso delle ultime “facies” appenniniche, come risultano particolarmente attestate da rilievi archeologici.
Dalla letteratura e, precisamente, dal D’Annunzio abbiamo appreso, a scuola, che anche i pastori abruzzesi in un certo momento dell’anno lasciavano i monti per migrare verso pascoli orientali dell’Adriatico: “… Settembre, andiamo é tempo di migrare, ora in terra di Abruzzo i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare …”
A quel tempo, i pastori, raggiunti i pascoli marittimi, ritrovavano le loro capanne dai tetti straminei, lasciate soltanto sei mesi prima. Il tempo di risistemarle, di ribattere l’argilla acciottolata del pavimento, di rinnovare qualche fascina di ginestra del tetto spiovente e delle pareti laterali e via poi a riprendere la vita pastorale, con il pascolo, la mungitura, la preparazione della ricotta, dei formaggi che culminava in primavera con lo smercio degli agnelli ed il ritorno sui monti. Ma la popolazione appenninica, oltre il periodo del ferro (3000 anni fa), si é poi parzialmente stanziata sui litorali, fondendosi a genti giunte dal medioriente. Nel nostro versante l’unione dei due popoli ha dato origine ad un’ unica stirpe, quella etrusca che, nel giro di duecento anni, dominerà, con la sua civiltà, tutto il bacino del mediterraneo. Così é sorta San Giovenale, pastorale, quale terminale di vie di transumanza e poi, per la sua ubicazione alle pendici dei monti della Tolfa, ingente bacino minerario, quale baluardo, a difesa di strade adibite al trasporto di minerali.
Gli scavi operati sul luogo fra il 1956 ed il 1965, effettuati dall’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, in collaborazione con la Soprintendenza per l’Etruria Meridionale, hanno portato in luce il sito archeologico pastorale, fino ad allora sconosciuto, dai quali é anche emerso che il villaggio capannicolo, risulta abbandonato dopo un incendio devastante. Mentre la vita risultò riprendere vigore nel periodo proto villanoviano, quando iniziò lo sfruttamento del bacino minerario tolfetano e, le capanne, vennero sostituite da abitazioni costruite in blocchi di tufo (VII - VI sec. a. C.). E, presumibilmente, S. Giovenale in quel periodo era posta sotto l’egemonia della Lucumonia Cerite. Successivamente, il centro, attraversò nel V Sec. un momento critico culminato con il suo definitivo abbandono, avvenuto nel II sec. A C. La vita sul colle riprese poi, sporadicamente, nell’alto Medioevo, quando furono edificati il castello e la chiesa ad opera dei prefetti Di Vico.
Vanì, 18/11/07.
BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.