Caratteristiche:
- Tipo: naturalistico/paesaggistico
- Lunghezza: circa 10/11 km.
- Tempo percorrenza: circa 6 ore (compresa breve sosta pranzo)
- Difficoltà: medio/alta
- Ambiente: macchia, cascate, rio
- Localizzazione: Mazzano Romano - Calcata (RM-VT)
Percorso:
- Fase preparatoria:
poichè il ritorno sarebbe sullo stesso percorso dell'andata,
è consigliabile lasciare una o più macchine
presso la salita per Narce, sulla provinciale Mazzano R.- Calcata,
(fine dell'escursione). Le restanti macchine possono essere lasciate al
parcheggio prossimo alle Cascate (inizio dell'escursione) ed essere
recuperate dagli autisti al termine della giornata con un breve
servizio "navetta".
- Partenza: Luogo d'incontro
ad Anguillara donde si parte in direzione di Trevignano; dopo 6,7Km, ad
un bivio, si prende sulla destra la provinciale verso Mazzano. Dopo 6,2
Km si attraversa, su ponte, la Cassia e dopo circa 7 Km si arriva alle
"Cascate di Montegelato": qui in un piccolo spiazzo sulla destra si
lascia la maggioranza delle auto (v. fase preparatoria) e si da inizio
all'escursione.
Escursione a piedi:
- La nostra ultima escursione del 2007 inizia da queste
Cascate di MonteGelato. E’ qui che il Fiume Treja riceve le
acque dell’immenso bacino idrico del Lago di Bracciano per
scindersi a formare mille sonori e gradevoli rivoli e piacevoli
cascatelle. La insignificante e coltivata piana che precede le cascate,
figlia di un residuo e distruttivo latifondismo, diffuso nello Stato
Pontificio, non lascia presagire che di lì a poco il
paradiso sta per cominciare…
FOTO 1. Punto di Partenza FOTO 2.Una delle
cascatelle
- Prospiciente le amene cascatelle, una antica mola va a
sfruttare, per il suo incessante lavoro, il dislivello del pendio
collinare. Inattiva dal 1960, ha prestato servizio fin dal popolo
falisco, che qui l’ha costruita per la macina di cereali,
olive ed uve. Restaurata più volte nel corso dei secoli,
così, come ci si presenta, venne realizzata nel 1830 per
volere della Famiglia Del Drago, che divenne proprietaria del Feudo
(sic!!!).
Un plauso rivolgo agli odierni restauratori che hanno sapientemente
ricostruito e rimesso in ordine le facciate esterne, il meccanismo di
molitura e creato all’interno degli ambienti una mostra sugli
aspetti storici ed archeologici del complesso, posto pannelli
interattivi sulla flora e fauna del luogo. Il tutto senza destare
sospetti di intervento contemporaneo anche all’occhio
più attento.
FOTO 3. il vecchio Mulino
La fauna ittica del corso d’acqua elenca la lampreda, il
cavedano, il barbo, il granchio ed il gambero. E’ qui, tra
queste forre, che nidifica il gruccione, con la sua livrea sgargiante
dal colore giallastro-blu metallico, dopo il suo incessante sorvolo del
mediterraneo. Extracomunitario di rango, sverna in Africa per tornare
puntualmente da noi in primavera. Mentre non è raro
scorgere, a pelo d’acqua del fiume, l’usignolo, il
merlo acquaiolo, il martin pescatore e l’airone cenerino. Per
poter osservare questi discreti abitanti del bosco, ormai rari, prede
di collezionisti, di cacciatori senza scrupoli e dei veleni dispersi
dall’uomo nell’ambiente, occorre procedere con
cautela, a passi felpati, senza far eccessivo rumore. Comprensibile il
loro comportamento: per loro il rischio di finire, da un momento
all’altro, imbalsamati su un camino di una villa è
davvero tanto! . Ma per vedere questa fauna occorre più
cautela, più silenzio. Non è il nostro caso. Il
Gruppo procede con un certo frastuono, felice e beato. Ciò
però mi conforta.
- Lasciamo dietro di noi questa interessante mola e
procediamo cautamente lungo la sponda destra del Treja, tra forre
elevate, vegetazione rigogliosa, pronunciate anse del fiume che, ora,
scivola indisturbato quieto su un più largo letto, ora corre
gorgogliante tra gole anguste, a presagire qualche lieve cascatella.
Qua e la obliqui raggi solari tagliano il sentiero e mostrano la
bellezza di reconditi angoli, resi ancor più belli e
più profondi dai naturali e sempre diversi giochi di luce
Ora dobbiamo traversare il Treja. Non poca la difficoltà che
ci si presenta, la portata dell’acqua è
più che discreta, ed alcuni tronchi posti da noi in passato
per guadare, la piena li ha portati via. All’impresa si
aggregano 5 persone estranee al gruppo, due poi abbandoneranno
l’impresa. Ma tre ragazze restano. Queste tra noi
elettrizzano un po’ l’aria. I maschietti? Tutti
indaffarati a prestare soccorso alle nuove arrivate.
C’è chi porge la mano per aiutarle anche nei
minuscoli guadi, chi spazza la strada avanti a queste per non farle
cadere e, chi allestisce loro nuovi bastoni tagliando i rami del fiume,
anzi c’è pure chi taglia (chi cuce), ed alla fine
si finisce per tagliare pure troppo il suo pollicione...…
FOTO 4. Il Gruppo si ricompatta FOTO 5. Uno degli
attraversamenti
- Ci troviamo ora sulla sponda sinistra del Treja. Al bivio
risaliamo il sentiero fiancheggiante un affluente per portarci alle
fonti Virgiliane. Ottima questa fonte di acqua frizzantina. Rigenera in
un baleno le nostre energie perdute. Un pensiero va al nostro poeta
Mantovano! Dirà il vero il toponimo? Chissà
perché hanno attribuito a Virgilio quelle fonti;
avrà anche lui gustato duemila anni fa queste piacevoli
acque? Io ritengo di si. Procediamo ora con più speditezza,
si è fatto tardi, il sole quasi allo zenit, mi sprona ad
allungare. Maciniamo chilometri, finché raggiungiamo la
“fornace preistorica”. E’ così
che mi piace presentarla, giusto reperto preistorico giunto
direttamente tra noi dal periodo del bronzo medio ( probabilmente
è qui da oltre quattromila anni ), è una sorta di
fossile. Sfruttando una vena di ottima argilla sotterranea il
proprietario, pronipote dei primi costruttori (il complesso
è passato da padre in figlio senza soluzione di
continuità per millenni) allestisce con degli stampi in
legno, rettangolari a semicerchio ed altro, i mattoni (pianelle)
lasciandoli poi essiccare al sole. Dopo un paio di settimane
sarà la fornace, con un fuoco di fascine e legna e dare il
suo tocco finale ( così come ancora oggi qualche fornaio di
paese continua a confezionare il pane quotidiano). Il momento
più bello però si presenta quando, dopo alcuni
giorni, la temperatura del forno scende e viene estratto il prodotto.
Le pianelle assumono colori molteplici, dalle varie tinte
dell’ocra, alla terra di Siena, bruciata e naturale. E questo
in funzione ai gradi di fuoco ricevuti, al tipo di legna bruciata, alla
disposizione all’interno del forno, al microclima del giorno.
E’ un piacere conoscere che gli architetti della capitale
fanno incetta di questo ultimo artigianato, per la realizzazione di
ville residenziali.
- Procediamo ancora oltre, ora il primo insediamento sul
percorso è prossimo, Mazzano Romano. Io ne avverto
anticipatamente la presenza, giacché la folta vegetazione
non consente tanto allo sguardo di spaziare, a chi, per la prima volta
esegue l’escursione. Qui le forre sono altissime, di quando
in quando enormi tronchi di pioppi caduti, congiungono le rive del
Treja, che ora si è fatto grande, e riflette parte del cielo
e le pareti circostanti. Il canto degli uccelli ci accompagna ovunque,
ma nessun avvistamento. Giungiamo a Mazzano. con le sue viuzze strette,
orientate ortogonalmente, secondo i punti cardinali dai progenitori
Falisci. Il pranzo, come di consueto viene consumato entro le mura
dell’antica bella Chiesa , progettata dal Vignola, situata
nella parte alta del Paese. La Chiesa venne demolita nel 1940
(demolita!!! Eh eh eh si proprio così!!!) perché
minacciava di crollare dopo che un fulmine aveva colpito il suo
campanile alto ben 25 metri. Resta al suo posto l’intera area
occupata dal tempio, ancora libera e la parete sud, con
l’abside e lunette laterali. Ci accampiamo entro il complesso
cercando di sfruttare l’ombra delle pareti ed alcuni gradini
come ottimi sedili. Il momento del pasto è solenne. Solo il
nostro loquace e vivace Antonio, forte della sua
“partenopeità” intrattiene con la sua
verve il gruppo. Tra una battuta e l’altra ci delizia mentre
assaporiamo la dolce sobrietà di un panino, un bicchiere di
vino un caffè ed un dolcetto dati dai più
caritatevoli ai meno abbienti. Abilmente Antonio occupa lo spazio di
una lunetta, una volta sede della statua di Cristo. Caro amico da un
po’ ti osservo con attenzione, guardo le volute dei tuoi
fluenti capelli bianchi, la tua ben curata barba
(anch’essa bianca sic!) la mia immaginazione vaga
… avverto una certa trasposizione. Si, forse una volta
potevi
pure somigliare a Gesù per il biondo dei tuoi capelli ma
ora, purtroppo, l’incipiente canizie ti accosta
più
a S. Pietro, e del periodo della sua terza età. Ma
è già qualcosa, credi, Antonio; pensa che
c’è qualcuno di noi che oggi non ricorda
più cosa siano i capelli, infine poi la tua gustosa
verve… è un dote non comune.
FOTO 6. Mazzano Romano (Piazzetta)
FOTO 7. Lavatoio pubblico (ex)
- Lasciamo il tempio, chiamato così da me,
giacché un tempo trattavasi di un’area sacra
falisca, occupata e trasformata in seguito dai sacerdoti cristiani. A
quel tempo, tutt’intorno, era un fiorire di abitazioni del
popolo egemone e, sulle alture tombe a camera, che hanno restituito e
continuano a restituire migliaia di reperti, per i musei di tutto il
mondo e per lo sfizio dei collezionisti. In Italia resta ben poco di
quello che locali tombaroli senza scrupoli vendono attraverso canali
che passano per la civile Svizzera. Portati qui i reperti, per far
conferire loro una sorta di falso certificato di origine che li
accompagnerà, ora in regola, per i mercati del mondo. Vorrei
conoscere questi tombaroli, per chiedere loro se si rendono conto del
danno che arrecano alla storia con la loro criminosa
attività. Vorrei sapere se si rendono conto che le loro pur
preistoriche radici desunte, sono pressoché sconosciute. I
reperti trafugati sono pietre miliari, sono tratti di storia che
potrebbero rivelare misteri irrisolti del popolo etrusco, falisco e
sabino, dei loro antichi progenitori.
Dal momento che ci siamo ormai inoltrati entro il territorio falisco
ritengo utile tediarVi nel fare qualche cenno su questo meraviglioso
Popolo. Esso disponeva di un piccola area delimitata ad est dal fiume
Tevere, a sud da tutto il bacino del Fiume Treja, a nord toccava le
alture dei monti Cimini, mentre ad ovest confinava con il comprensorio
dei laghi di Bracciano e Vico. Pressappoco occupava quella zona
dell’Alto Lazio facente parte, oggi, dei comuni di: Orte,
Vasanello, Vignanello, Valleranno, Canepina Carbognano, Caprarola,
Fabbrica di Roma, Ronciglione, Monterosi Mazzano R., Calcata, Faleria,
Castel S. Elia, Nepi e Civita Castellana. Mentre centri storici antichi
che si conoscono, di quel popolo, sono la sua capitale Falerii Veteres,
Narce, Calcata, Mazzano Romano, i comprensori di Pizzo Piede, Monte li
Santi, Monte Cerreto e Le Croci. Non disponiamo di altre notizie su
ulteriori località attive, che dovevano pur esistere sul
territorio e, quasi sicuramente, insediate sotto le abitazioni degli
attuali paesi.
La lingua parlata dai falisci era simile a quella delle popolazioni
limitrofe (l’etrusco – il sabino), pur conservando
un originario fondo latino. La sua Capitale, alcune fonti letterarie di
età classica, la fanno risalire ad un’origine
pelagica o argiva dal nome di Halesus (Faleri) suo mitico fondatore,
discendente di quell’Agamennone omerico. Queste fonti non
fanno altro che confermare una colonizzazione generalizzata del nostro
Paese, a partire dal 1400 a. C. al 400 a.C., da parte di popolazioni
Elleniche, sospinte da invasioni di gente centro-europea, per via
terrestre (Dori). Il Popolo Falisco, viveva sfruttando i ricchi
commerci dei traffici che la Valle del Tevere doveva consentire, con le
popolazioni limitrofe, esportando mercanzie attraverso il porto di
Seripola, appunto sul fiume Tevere vicino alla confluenza con il Treja.
Dalle notevoli e ricche emergenze archeologiche a noi note, dobbiamo
supporre che quel popolo aveva accumulato ingenti ricchezze con la sua
attività commerciale, tanto da rappresentare un intralcio
per le mire dell’emergente Roma. Dopo alterne vicende che
videro le popolazioni falische schierate a fianco degli etruschi contro
le mire espansionistiche dei romani, l’agro falisco cadde
definitivamente nel IV secolo a.C., ad opera del Console Marco Furio
Camillo, che prese Falerii Veteres con l’inganno, e che fece
vivere, alle popolazioni etrusche un periodo così nefasto,
fino alla definitiva conquista del loro territorio.
- Riprendiamo la nostra escursione proseguendo sempre per la
riva sinistra del Treja. Qui il percorso è stato tutto
completamente tracciato ed arricchito con ponticelli e staccionate in
legno, lungo la strada, a scongiurare pericolosi scivoloni lungo i
pendii scoscesi. Giungiamo, per la gioia di alcuni, finalmente, sulla
strada asfaltata (la provinciale Mazzano-Calcata) proprio ove sorgeva
il primo viadotto artificiale che la storia ci tramandi. Collegava
Monte Li Santi a Narce. Due colli opposti, distanti tra loro intorno ai
1.000 metri, sul primo si trovava un insediamento falisco e relativa
necropoli, sul secondo un tempio che tanti richiamava. Purtroppo,
quando recentemente si costruì la strada provinciale che
collegò Calcata al resto del mondo, l’opera venne
abbattuta. Il viadotto era lungo 150 metri ed alto 30. Ancora oggi si
possono osservare nei punti di attacco, i resti degli imponenti massi
di tufo disposti a filari.
- Traversiamo la strada asfaltata, ne percorriamo un breve
tratto, attenti a non imboccare i sentieri di altre escursioni che
portano, seguendo il Treja, verso Civita Castellana. Dobbiamo invece
seguire, sulla sinistra della provinciale, il sentiero del fosso del
Peccato, che ci porterà, con non poche difficoltà
a risalire il forte pendio di Calcata.
FOTO 9. Calcata dal basso
Non resta quindi che la visita del centro, posta per ultimo, proprio
come la proverbiale ciliegina sulla torta. Di questo Centro Falisco si
potrebbe parlare molto, ma io cercherò di dare soltanto
alcune informazioni utili per consentirVi di fruire, singolarmente, le
caratteristiche del paese, e ricevere, ciascuno, impressioni personali
percorrendo le minute vie. Queste, a raggiera, si dipanano dal centro
alla immediata periferia, a mostrare inopinatamente panoramiche
vertiginose e mozzafiato. Qua e là poi negozi di un tempo,
disseminati tra i minuscoli quartieri abbarbicati sulla rupe cadente,
che invitano a sbirciare dentro. E’ qui esposto artigianato
antico, tanto la cura degli abitanti del luogo ha voluto conservare, in
ambienti che rispondono al nome come “Il
Granarone”, il “Forno a soccio”, la
“Caciera” e il “Forno venale”.
Qui consigliamo di non trascurare nessun angolo riposto, anche a costo
di divenire inopportuni e molesti nell’invadere la privacy
altrui.
- E’ qui che termina la nostra escursione, tra i
pittoreschi Vicoli dai proliferati negozietti variopinti, inondanti di
aromi di spezie, tra effluvi accattivanti di radici orientali, dai
particolari moderni “thermopolium” che dispensano i
più impensabili ristori, il the preparato in 100 modi
diversi, la birra servita con invitanti ??? schiume galleggianti, i
dolci al sesamo, al papavero ed ancora tanto altro. Poi la vista
mozzafiato sui dirupi prospicienti il Treja lungo tutto il perimetro
del borgo. Gente, tanta gente in giro, tutti a riempirsi gli occhi di
immagini gradevoli, di un passato presente. Ovunque persone, comuni,
altre inconsuete, tutte comunque comprese entro un’arco
costituzionale di eterogeneità che dirò, non
guasta. Tante e tante persone che alla fine troviamo
difficoltà a ricompattare il Tiburzi.
- Mappa del percorso dell'escursione, tratta dal Pamphlet
"Parco Suburbano della Valle del Treja" edito dalla Regione Lazio -
Parchi e Riserve Naturali
BY
IVANO ROMITI - GRUPPO TREKKING TIBURZI.