Caratteristiche:

Percorso:

Escursione a piedi:

  1. La nostra ultima escursione del 2007 inizia da queste Cascate di MonteGelato. E’ qui che il Fiume Treja riceve le acque dell’immenso bacino idrico del Lago di Bracciano per scindersi a formare mille sonori e gradevoli rivoli e piacevoli cascatelle. La insignificante e coltivata piana che precede le cascate, figlia di un residuo e distruttivo latifondismo, diffuso nello Stato Pontificio, non lascia presagire che di lì a poco il paradiso sta per cominciare…
    Punto di partenza Una cascatella
    FOTO 1. Punto di Partenza    FOTO 2.Una delle cascatelle
  2. Prospiciente le amene cascatelle, una antica mola va a sfruttare, per il suo incessante lavoro, il dislivello del pendio collinare. Inattiva dal 1960, ha prestato servizio fin dal popolo falisco, che qui l’ha costruita per la macina di cereali, olive ed uve. Restaurata più volte nel corso dei secoli, così, come ci si presenta, venne realizzata nel 1830 per volere della Famiglia Del Drago, che divenne proprietaria del Feudo (sic!!!).
    Un plauso rivolgo agli odierni restauratori che hanno sapientemente ricostruito e rimesso in ordine le facciate esterne, il meccanismo di molitura e creato all’interno degli ambienti una mostra sugli aspetti storici ed archeologici del complesso, posto pannelli interattivi sulla flora e fauna del luogo. Il tutto senza destare sospetti di intervento contemporaneo anche all’occhio più attento.
    Punto di partenza 
    FOTO 3. il vecchio Mulino    
    La fauna ittica del corso d’acqua elenca la lampreda, il cavedano, il barbo, il granchio ed il gambero. E’ qui, tra queste forre, che nidifica il gruccione, con la sua livrea sgargiante dal colore giallastro-blu metallico, dopo il suo incessante sorvolo del mediterraneo. Extracomunitario di rango, sverna in Africa per tornare puntualmente da noi in primavera. Mentre non è raro scorgere, a pelo d’acqua del fiume, l’usignolo, il merlo acquaiolo, il martin pescatore e l’airone cenerino. Per poter osservare questi discreti abitanti del bosco, ormai rari, prede di collezionisti, di cacciatori senza scrupoli e dei veleni dispersi dall’uomo nell’ambiente, occorre procedere con cautela, a passi felpati, senza far eccessivo rumore. Comprensibile il loro comportamento: per loro il rischio di finire, da un momento all’altro, imbalsamati su un camino di una villa è davvero tanto! . Ma per vedere questa fauna occorre più cautela, più silenzio. Non è il nostro caso. Il Gruppo procede con un certo frastuono, felice e beato. Ciò però mi conforta.
  3. Lasciamo dietro di noi questa interessante mola e procediamo cautamente lungo la sponda destra del Treja, tra forre elevate, vegetazione rigogliosa, pronunciate anse del fiume che, ora, scivola indisturbato quieto su un più largo letto, ora corre gorgogliante tra gole anguste, a presagire qualche lieve cascatella. Qua e la obliqui raggi solari tagliano il sentiero e mostrano la bellezza di reconditi angoli, resi ancor più belli e più profondi dai naturali e sempre diversi giochi di luce Ora dobbiamo traversare il Treja. Non poca la difficoltà che ci si presenta, la portata dell’acqua è più che discreta, ed alcuni tronchi posti da noi in passato per guadare, la piena li ha portati via. All’impresa si aggregano 5 persone estranee al gruppo, due poi abbandoneranno l’impresa. Ma tre ragazze restano. Queste tra noi elettrizzano un po’ l’aria. I maschietti? Tutti indaffarati a prestare soccorso alle nuove arrivate. C’è chi porge la mano per aiutarle anche nei minuscoli guadi, chi spazza la strada avanti a queste per non farle cadere e, chi allestisce loro nuovi bastoni tagliando i rami del fiume, anzi c’è pure chi taglia (chi cuce), ed alla fine si finisce per tagliare pure troppo il suo pollicione...…
    Gruppo in briefing Una cascatella
    FOTO 4. Il Gruppo si ricompatta    FOTO 5. Uno degli attraversamenti
  4. Ci troviamo ora sulla sponda sinistra del Treja. Al bivio risaliamo il sentiero fiancheggiante un affluente per portarci alle fonti Virgiliane. Ottima questa fonte di acqua frizzantina. Rigenera in un baleno le nostre energie perdute. Un pensiero va al nostro poeta Mantovano! Dirà il vero il toponimo? Chissà perché hanno attribuito a Virgilio quelle fonti; avrà anche lui gustato duemila anni fa queste piacevoli acque? Io ritengo di si. Procediamo ora con più speditezza, si è fatto tardi, il sole quasi allo zenit, mi sprona ad allungare. Maciniamo chilometri, finché raggiungiamo la “fornace preistorica”. E’ così che mi piace presentarla, giusto reperto preistorico giunto direttamente tra noi dal periodo del bronzo medio ( probabilmente è qui da oltre quattromila anni ), è una sorta di fossile. Sfruttando una vena di ottima argilla sotterranea il proprietario, pronipote dei primi costruttori (il complesso è passato da padre in figlio senza soluzione di continuità per millenni) allestisce con degli stampi in legno, rettangolari a semicerchio ed altro, i mattoni (pianelle) lasciandoli poi essiccare al sole. Dopo un paio di settimane sarà la fornace, con un fuoco di fascine e legna e dare il suo tocco finale ( così come ancora oggi qualche fornaio di paese continua a confezionare il pane quotidiano). Il momento più bello però si presenta quando, dopo alcuni giorni, la temperatura del forno scende e viene estratto il prodotto. Le pianelle assumono colori molteplici, dalle varie tinte dell’ocra, alla terra di Siena, bruciata e naturale. E questo in funzione ai gradi di fuoco ricevuti, al tipo di legna bruciata, alla disposizione all’interno del forno, al microclima del giorno. E’ un piacere conoscere che gli architetti della capitale fanno incetta di questo ultimo artigianato, per la realizzazione di ville residenziali.
  5. Procediamo ancora oltre, ora il primo insediamento sul percorso è prossimo, Mazzano Romano. Io ne avverto anticipatamente la presenza, giacché la folta vegetazione non consente tanto allo sguardo di spaziare, a chi, per la prima volta esegue l’escursione. Qui le forre sono altissime, di quando in quando enormi tronchi di pioppi caduti, congiungono le rive del Treja, che ora si è fatto grande, e riflette parte del cielo e le pareti circostanti. Il canto degli uccelli ci accompagna ovunque, ma nessun avvistamento. Giungiamo a Mazzano. con le sue viuzze strette, orientate ortogonalmente, secondo i punti cardinali dai progenitori Falisci. Il pranzo, come di consueto viene consumato entro le mura dell’antica bella Chiesa , progettata dal Vignola, situata nella parte alta del Paese. La Chiesa venne demolita nel 1940 (demolita!!! Eh eh eh si proprio così!!!) perché minacciava di crollare dopo che un fulmine aveva colpito il suo campanile alto ben 25 metri. Resta al suo posto l’intera area occupata dal tempio, ancora libera e la parete sud, con l’abside e lunette laterali. Ci accampiamo entro il complesso cercando di sfruttare l’ombra delle pareti ed alcuni gradini come ottimi sedili. Il momento del pasto è solenne. Solo il nostro loquace e vivace Antonio, forte della sua “partenopeità” intrattiene con la sua verve il gruppo. Tra una battuta e l’altra ci delizia mentre assaporiamo la dolce sobrietà di un panino, un bicchiere di vino un caffè ed un dolcetto dati dai più caritatevoli ai meno abbienti. Abilmente Antonio occupa lo spazio di una lunetta, una volta sede della statua di Cristo. Caro amico da un po’ ti osservo con attenzione, guardo le volute dei tuoi fluenti capelli bianchi, la tua ben curata barba (anch’essa bianca sic!) la mia immaginazione vaga … avverto una certa trasposizione. Si, forse una volta potevi pure somigliare a Gesù per il biondo dei tuoi capelli ma ora, purtroppo, l’incipiente canizie ti accosta più a S. Pietro, e del periodo della sua terza età. Ma è già qualcosa, credi, Antonio; pensa che c’è qualcuno di noi che oggi non ricorda più cosa siano i capelli, infine poi la tua gustosa verve… è un dote non comune.
    Gruppo in briefing Una cascatella
    FOTO 6. Mazzano Romano (Piazzetta)             FOTO 7. Lavatoio pubblico (ex)
  6. Lasciamo il tempio, chiamato così da me, giacché un tempo trattavasi di un’area sacra falisca, occupata e trasformata in seguito dai sacerdoti cristiani. A quel tempo, tutt’intorno, era un fiorire di abitazioni del popolo egemone e, sulle alture tombe a camera, che hanno restituito e continuano a restituire migliaia di reperti, per i musei di tutto il mondo e per lo sfizio dei collezionisti. In Italia resta ben poco di quello che locali tombaroli senza scrupoli vendono attraverso canali che passano per la civile Svizzera. Portati qui i reperti, per far conferire loro una sorta di falso certificato di origine che li accompagnerà, ora in regola, per i mercati del mondo. Vorrei conoscere questi tombaroli, per chiedere loro se si rendono conto del danno che arrecano alla storia con la loro criminosa attività. Vorrei sapere se si rendono conto che le loro pur preistoriche radici desunte, sono pressoché sconosciute. I reperti trafugati sono pietre miliari, sono tratti di storia che potrebbero rivelare misteri irrisolti del popolo etrusco, falisco e sabino, dei loro antichi progenitori.
    Dal momento che ci siamo ormai inoltrati entro il territorio falisco ritengo utile tediarVi nel fare qualche cenno su questo meraviglioso Popolo. Esso disponeva di un piccola area delimitata ad est dal fiume Tevere, a sud da tutto il bacino del Fiume Treja, a nord toccava le alture dei monti Cimini, mentre ad ovest confinava con il comprensorio dei laghi di Bracciano e Vico. Pressappoco occupava quella zona dell’Alto Lazio facente parte, oggi, dei comuni di: Orte, Vasanello, Vignanello, Valleranno, Canepina Carbognano, Caprarola, Fabbrica di Roma, Ronciglione, Monterosi Mazzano R., Calcata, Faleria, Castel S. Elia, Nepi e Civita Castellana. Mentre centri storici antichi che si conoscono, di quel popolo, sono la sua capitale Falerii Veteres, Narce, Calcata, Mazzano Romano, i comprensori di Pizzo Piede, Monte li Santi, Monte Cerreto e Le Croci. Non disponiamo di altre notizie su ulteriori località attive, che dovevano pur esistere sul territorio e, quasi sicuramente, insediate sotto le abitazioni degli attuali paesi.
    La lingua parlata dai falisci era simile a quella delle popolazioni limitrofe (l’etrusco – il sabino), pur conservando un originario fondo latino. La sua Capitale, alcune fonti letterarie di età classica, la fanno risalire ad un’origine pelagica o argiva dal nome di Halesus (Faleri) suo mitico fondatore, discendente di quell’Agamennone omerico. Queste fonti non fanno altro che confermare una colonizzazione generalizzata del nostro Paese, a partire dal 1400 a. C. al 400 a.C., da parte di popolazioni Elleniche, sospinte da invasioni di gente centro-europea, per via terrestre (Dori). Il Popolo Falisco, viveva sfruttando i ricchi commerci dei traffici che la Valle del Tevere doveva consentire, con le popolazioni limitrofe, esportando mercanzie attraverso il porto di Seripola, appunto sul fiume Tevere vicino alla confluenza con il Treja. Dalle notevoli e ricche emergenze archeologiche a noi note, dobbiamo supporre che quel popolo aveva accumulato ingenti ricchezze con la sua attività commerciale, tanto da rappresentare un intralcio per le mire dell’emergente Roma. Dopo alterne vicende che videro le popolazioni falische schierate a fianco degli etruschi contro le mire espansionistiche dei romani, l’agro falisco cadde definitivamente nel IV secolo a.C., ad opera del Console Marco Furio Camillo, che prese Falerii Veteres con l’inganno, e che fece vivere, alle popolazioni etrusche un periodo così nefasto, fino alla definitiva conquista del loro territorio.
  7. Riprendiamo la nostra escursione proseguendo sempre per la riva sinistra del Treja. Qui il percorso è stato tutto completamente tracciato ed arricchito con ponticelli e staccionate in legno, lungo la strada, a scongiurare pericolosi scivoloni lungo i pendii scoscesi. Giungiamo, per la gioia di alcuni, finalmente, sulla strada asfaltata (la provinciale Mazzano-Calcata) proprio ove sorgeva il primo viadotto artificiale che la storia ci tramandi. Collegava Monte Li Santi a Narce. Due colli opposti, distanti tra loro intorno ai 1.000 metri, sul primo si trovava un insediamento falisco e relativa necropoli, sul secondo un tempio che tanti richiamava. Purtroppo, quando recentemente si costruì la strada provinciale che collegò Calcata al resto del mondo, l’opera venne abbattuta. Il viadotto era lungo 150 metri ed alto 30. Ancora oggi si possono osservare nei punti di attacco, i resti degli imponenti massi di tufo disposti a filari.
  8. Traversiamo la strada asfaltata, ne percorriamo un breve tratto, attenti a non imboccare i sentieri di altre escursioni che portano, seguendo il Treja, verso Civita Castellana. Dobbiamo invece seguire, sulla sinistra della provinciale, il sentiero del fosso del Peccato, che ci porterà, con non poche difficoltà a risalire il forte pendio di Calcata.

     Una cascatella
    FOTO 9. Calcata dal basso
    Non resta quindi che la visita del centro, posta per ultimo, proprio come la proverbiale ciliegina sulla torta. Di questo Centro Falisco si potrebbe parlare molto, ma io cercherò di dare soltanto alcune informazioni utili per consentirVi di fruire, singolarmente, le caratteristiche del paese, e ricevere, ciascuno, impressioni personali percorrendo le minute vie. Queste, a raggiera, si dipanano dal centro alla immediata periferia, a mostrare inopinatamente panoramiche vertiginose e mozzafiato. Qua e là poi negozi di un tempo, disseminati tra i minuscoli quartieri abbarbicati sulla rupe cadente, che invitano a sbirciare dentro. E’ qui esposto artigianato antico, tanto la cura degli abitanti del luogo ha voluto conservare, in ambienti che rispondono al nome come “Il Granarone”, il “Forno a soccio”, la “Caciera” e il “Forno venale”. Qui consigliamo di non trascurare nessun angolo riposto, anche a costo di divenire inopportuni e molesti nell’invadere la privacy altrui.
  9. E’ qui che termina la nostra escursione, tra i pittoreschi Vicoli dai proliferati negozietti variopinti, inondanti di aromi di spezie, tra effluvi accattivanti di radici orientali, dai particolari moderni “thermopolium” che dispensano i più impensabili ristori, il the preparato in 100 modi diversi, la birra servita con invitanti ??? schiume galleggianti, i dolci al sesamo, al papavero ed ancora tanto altro. Poi la vista mozzafiato sui dirupi prospicienti il Treja lungo tutto il perimetro del borgo. Gente, tanta gente in giro, tutti a riempirsi gli occhi di immagini gradevoli, di un passato presente. Ovunque persone, comuni, altre inconsuete, tutte comunque comprese entro un’arco costituzionale di eterogeneità che dirò, non guasta. Tante e tante persone che alla fine troviamo difficoltà a ricompattare il Tiburzi.
  10. Mappa del percorso dell'escursione, tratta dal Pamphlet "Parco Suburbano della Valle del Treja" edito dalla Regione Lazio - Parchi e Riserve Naturali
Prossima ventura

    BY IVANO ROMITI - GRUPPO TREKKING TIBURZI.