Oggi completiamo il tratto fluviale (Fossi Verlungo/Neme/Biedano/Blera) seguendo un percorso del tutto “etrusco”, intagliato tra alte pareti di tufo, che da Barbarano conduce sotto l’abitato di Blera. Citato da programma come “Gole del Biedano 2“, il sentiero, forse ancora attivo fino ad un secolo fa, ormai non più frequentato che da sporadici gruppi escursionistici, viene intercettato da Barbarano R. discendendo da porta Canale. Queste vie erano quotidianamente battute dai coltivatori delle canapine e dai mugnai che lavoravano ai mulini ad acqua. Lungo il torrente i resti di ben 3 mole con le relative dighe del XVII secolo sono ancora visibili lungo il Vallone Biedano .
Alternativo alla Via Clodia, il nostro sentiero, dall’antico centro etrusco di Marturanum, portava in tutta segretezza alla lucumonia Blerana. Ma volendo osare ancora un po’, proseguire ancora avanti entro la estesa necropoli (Pian del Vescovo, grotta Porcina etc), giunti sotto l’abitato di Blera è sufficiente seguire il corso d’acqua che devia verso nord-ovest nord, andando ad intercettare la necropoli di Norchia, al pari della Via Clodia.
Erano queste, due diverse vie di comunicazione con peculiarità diverse. La Via fluviale era protetta dalle alte coste affiancata da agili sentieri ripariali, mentre, ove il torrente lo consentiva, imponenti mulini ad acqua supportavano il lavoro umano per tutto l’anno, nella macina cerealicola, delle uve ed olive. L’altra, vecchia strada etrusca con brevi tratti basolati (artificiali), per il resto era intagliata nel tufo con tanto di canalina centrale per lo scolo delle acque meteoriche, mentre alcuni tratti, in corrispondenza di rilievi collinari, incassata entro spettacolari “tagliate”.
Di acqua ne ha portata tanta il nostro Biedano, basta osservare le vaste ferite verticale ed orizzontale inferte nel tempo, alla roccia, dal logorio fluviale. Ma da almeno una decina d’anni a questa parte il torrente, è quasi sempre in secca, mentre, senza tanto sospingere la memoria, ricordiamo gli innumerevoli guadi difficoltosi che dovevamo affrontare all’epoca delle “normali” portate d’acqua che correvano entro il canyon. Qualcosa è mutato nel nostro percorso, mentre ciò che risulta invariato è l’aspetto di foresta pluviale.
Per quanto difficoltoso possa risultare il seguire un torrente in piena, l’aspetto d’insieme delle “gole” era decisamente migliore anche se in alcuni tratti, fuorviante al punto da spaventare i benpensanti che, atterriti dalla fitta vegetazione, parlavano di invalicabilità del canyon, preferendo rivolgersi altrove. Per quanto nel periodo siccitoso, ogni goccia d’acqua che scende l’impluvio del canyon entra nel circuito, disperdendosi difficilmente. La ricca vegetazione meticolosamente e con parsimonia ricicla ogni cosa, di “umido”, di “organico ed inorganico”, seguendo un processo naturale e perfetto che gira dalla notte dei tempi; ma i principali artefici del processo e del mantenimento in vita di tutto l’ecosistema, sono le radici delle piante mesofile, di felci ed altro sottobosco, che si ingozzano di acqua più che possono passando a “valle” il meno possibile di liquido ed umus.
Il tratto “Biedano 1”, per così dire, è costellato di tombe etrusche secondo un uso poi attinto dai Romani, di costruire aree cemeteriali a fianco delle vie di comunicazione. Il motivo delle maggiori presenze tombali in “Biedano 1”, va ricercato nella scarsa portata d’acqua dei torrenti Verlungo e Neme. Garantiva ciò stabilità e sicurezza alle edificazioni! Più avanti si va, dove il Neme entra in Biedano, si osservano ingressi di tombe sospese ad una data altezza, quasi irraggiungibile. Da ciò, la misura di quanto la portata fluente del torrente, ha scavato a fondo il proprio alveo nell’arco di tempo di duemilacinquecento anni c.a.
La nostra escursione oggi è allietata dalla presenza di un folto nucleo di escursionisti del C.A.I. di Terni.
Seguono più o meno il nostro itinerario, ma da abili scalatori, percorrono alquanto velocemente il sentiero. Dopo la Mola Grande di loro non abbiamo più avvertito presenza, soltanto in un determinato tratto si sono udite voci sulla costa alta di destra, come se avessero scalato in qualche punto più favorevole l’alta forra.
La cascata della mola grande
Noi nel frattempo siamo “entrati” nella presa di adduzione acqua della Mola Grande, che pescava entro un grande invaso ove uno sbarramento artificiale consentiva un notevole accumulo di acqua.
Il canale di adduzione acque
Presto raggiungiamo le altre mole
La seconda mola
La terza mola
Il sentiero solito nell’ultimo tratto risulta chiuso, alcuni “rogari” hanno colonizzato il passaggio, apriamo senza difficoltà un passaggio alternativo, favorito dalla secca del torrente. Da ciò si capisce che nessun altro Gruppo è transitato prima di noi. Presto giungiamo sul “Ponte del Diavolo”, preannunciato dall’immenso arco e passerella del ponte moderno che, per quanto opera spettacolare di ingegneria moderna sia, non sarà mai bella e pittoresca come la vecchia costruzione “etrusca” in sasso, a tre campate a groppa di mulo.
Il ponte moderno
Il Ponte vecchio, etrusco/romano, così detto del “Diavolo”.
La Via etrusca su cui è stata poi edificata la Clodia, collegava molti centri d’Etruria dal suburbio di Roma spingendosi a nord fino a Firenze.
A partire dal IV secolo a.C., dopo la c.d. romanizzazione, ad opera ed iniziativa di un tal “Claudio”, forse “magistrato”, appartenente alla “gens Claudia” romana, il tracciato viario in oggetto viene risistemato prendendo il nome di Via Clodia. Molti tratti di tale Via risultano oggi in parte dispersi, mentre attualmente troviamo in esercizio la strada provinciale c.d. Braccianese Claudia, che ricalca parte della vecchia Via etrusco/romana.
Grazie a Wikipedia, riportiamo secondo la Tabula Peutingeriana, le mansiones che la via Clodia incontrava nel suo percorso :
Vani' 22-01-2012