Il percorso oggi ci porta verso lussureggianti prati ad ovest del lago di Bracciano, al limitare dei quali, ci si imbatte in boschi impervi, ove improvvisi dirupi, danno vita ad impensabili salti d’acqua che precipiti a capofitto hanno disegnato nei millenni, con lento logorio e costante stillicidio, castelli di porfido ed altre futuristiche e mutevoli immagini. E’ questo il magico mondo delle Cascate di Castel Giuliano.
Ma le nostre “digitali” tagliano corto, gli scenari sono troppo estesi per la modesta apertura degli obiettivi. Meravigliose immagini, da grand’angolo, che la rigogliosa natura custodisce gelosa e permette di riprendere solo da alcuni punti critici al margine della scena. Cascate, disseminate qua e là, tra le alte forre, preannunciate dal sordo fragore delle acque in caduta e dall’aria opaca, traversata da mille arcobaleni, pregna di bollicine in sospensione.
Solitario territorio di Castel Giuliano, fuori dal tempo, ove ormai tutto geme. La vita qui un dì gioiva ammiccante tra la florida natura e l’etrusca vita sulla Via Cornelia, che qui transitava, tangente il margine est del territorio della ricca, vasta e colta lucumonia cerite. Ma la Via si spingeva oltre, verso nord ovest, tra il Sasso e la Caldara di Manziana, per raggiungere le fonti Apollinari, attraverso il Ponte del Diavolo, quindi Stigliano ed il ricco bacino minerario del Monti della Tolfa. Ma di lei non rimangono che pochi tratti originari soltanto, alcuni ponti sospesi nel vuoto e null’altro, isole su torrenti di cui risulta difficile rintracciare i punti di attacco.
Le rocce, lambite dalla piena del fosso, particolarmente brillanti oggi, riflettono al cielo l’argenteo plumbeo dei loro minerali … il luogo è sempre abbastanza tranquillo eppure oggi questo nostro santo mondo è turbato dalla “ciurmaglia” di Gigiò. Una simpatica combriccola ceretana che ha messo in piedi una micidiale “cacciarella”. I cinghiali battuti dalla squadra, sospinti da orde di segugi addestrati, hanno poco scampo per sopravvivere, lanciati in rovina verso una organizzata linea di fuoco parallela al nostro sentiero. Noi, spettatori per caso, assistiamo in diretta alla fucilazione di alcuni fieri capi.
Le acque di questi torrenti con lento logorio hanno strappato alle scure rocce, sabbia ferrosa, buona pace per i “reumatofori”, che sono andate a depositare sul Lido Laziale. Mentre il rudere delle ferriere una volta al servizio della comunità per la riduzione del metallo, è soltanto oggetto di qualche bella istantanea, avendo subito una forte colonizzazione del bosco ed un prematuro diroccamento.
Visitiamo tutte le cascate, quella maestosa di Castel Giuliano con la sua grotta recondita le cui quinte sono poste dietro le alte rocce e il gran getto delle acque, l’altra suggestiva e rilassante del Moro ed infine l’immensa del Braccio di Mare, arenile estivo degli etruschi antichi e moderni. Non ci spingiamo oltre, ove sono ubicate le altre rimanenti ma ci limitiamo a soffermarci un attimo per osservarle attentamente nei loro particolari. Fiere nel loro alveo, tra profonde cadute, improvvisi gorghi, cento rigagnoli, tratti cheti, risacche contro pareti di nero porfido, rovesci, spruzzi e mille bollicine, che sfuggono alla gravità, solitarie in aria nel loro più breve attimo di vita, mosse dal flusso delle intense correnti ascensionali che un lento verso circolare spinge in cielo incrociate dai raggi del sole. Mentre tutt’intorno una lussureggiante vegetazione si abbarbica sulle circostanti rocce, tra cui spiccano le Felci ed Il Capelvenere.
Una breve sosta per un frugale pasto allietato dal vino sincero del buon Alfio (ma non Lucioni che quanto a vino buono pure lui non scherza…) ex Caprarica! e dal cioccolato fondente caldo fuso, cui il nostro Agostino ci ha ormai abituati a sorbire, nelle escursioni delle giornate più rigide.
Poi un tranquillo ritorno, entro il sobrio boschetto di risalita, ed una breve parentesi micologica che ha reso un paio di razioni di cantharellus cibarius, tre rhodopaxillus nudus ed un clathrus cancellatus. Ma il lamento di un cagnolo,( richiesta di aiuto!) entro la ripida forra, stava per coinvolgermi in un rischioso recupero. Avevo intuito che la bestiola era sicuramente ferita ed immobile, malridotta dai canini di un cinghiale in lotta. La conferma viene dal padrone, incontrato più avanti, intento nella sua ricerca. L’uomo, mal guidato da un errato radiosegnale del collare della cane, riflesso su un altro versante del territorio stava decisamente fuori pista!
Ho tentato di indirizzare il cacciatore sul punto giusto di ricerca per un probabile recupero.
Non so poi come andata a finire … Questo pensiero tuttora non mi dà pace, penso di aver omesso del soccorso ad una povera bestiola ferita in difficoltà, che avrei potuto benissimo salvare con la mia esperienza.