Giornata di tempo decisamente perturbato, questo 23, e se è pur vero che il buon giorno si vede dal mattino, già all’alba violente tormente di neve avevano flagellato l’Alto Lazio e sconsigliato di mettersi in viaggio. Ma sei Tiburziani, i più caparbi e della peggiore risma, erano presenti alle 8.30 in Viale Berlinguer, fermamente convinti di rispettare il calendario “escursivo”.
In strada obbligo l’uso di catene o pneumatici da neve! In macchina conveniente bardarsi contro il freddo polare. Raggiunta, con non poca difficoltà, ma poca titubanza, località “Saltarello”, circondario del Comune di Vitorchiano – provincia di Viterbo, punto di inizio dell’escursione. L’uscita poi non si è svolta nel migliore dei modi, una intensa coltre nevosa ha rallentato il passo al gruppo e reso difficile l’orientamento.
Malgrado tutto, superato il Martelluzzo, abbiamo percorso l’antica strada sull’alto ciglio del torrente che gli etruschi percorrevano per raggiungere il loro paese. Interamente scavato nel tufo, il sentiero, un suo diverticolo intercetta un ponte antico, ove era ubicata una mola, mentre la scarsa vegetazione invernale ha lasciato intravedere, poco più avanti, una scalinata scavata nella roccia che, dal livello del Martelluzzo, trenta metri sotto, permetteva di salire l’alta sponda e giungere al livello del nostro cammino. Annotiamo l’interessante scoperta prefissando immediatamente una prossima uscita per far luce sul significato e sull’importanza del manufatto.
Superate le mura poligonali etrusche, penetriamo nel sacro territorio del Popolo “Rasenna”, ci riserva un repentino miglioramento delle condizioni meteo. Non più neve sul percorso ma un sentiero pulito ed un sottobosco quiescente, prossimo ad infiorescenze malgrado questi ultimi colpi di coda invernali.
D’incanto temperatura dell’aria addolcita, cielo sereno orizzonti oltremodo dilatati e camminare piacevole, a ripagare levataccia ed arti intorpiditi dalle fredde prime ore del giorno.
La Chiesetta Altomedievale subito ci accoglie fra le dirute e possenti mura sulle salde fondamenta che lasciano ben interpretare l’andamento dell’elevato, l’abside e le porte di accesso. Il campanile non esiste più. Problematica appare l’interpretazione della struttura pavimentale dell’impianto cultuale, posta su due o più livelli, ricavati nel manto roccioso. Fuori del tempio sorridono sorprendenti sarcofagi in peperino dalla scultura perfetta, attribuibili al popolo longobardo grazie alla presenza, all’interno degli stessi di una nicchia antropoide. Mentre altri di minore dimensione sembrano destinati a figure femminili. Una lastra ampia di peperino con piccole fessure più rozzamente scolpite, accoglieva forse spoglie di bambini (un tophet?). Piccola area cemeteriale annessa all’area cultuale? La chiesetta è posta fuori del villaggio medievale, mentre al suo interno sono presenti le case ipogee etrusche, che precedono, ancora quasi intatte, il complesso castellare, di oltre mille anni. Poste sul margine del gran dirupo pongono lo sguardo sulla gran vallata della Selva Malano, Colle Lungo, Monte Casoli, fin sul distante bacino del Tevere e le alture circostanti. Ben si comprende il motivo dell’importanza strategica di Corviano fin dall’antichità, suffragata dalla costruzione di un castello medievale direttamente sull’acropoli etrusco. Posto a baluardo sulla importante via di comunicazione tra la immensa prateria (maremma tosco laziale), il bacino vulsinio ed il centro Italia, di lui si sa ben poco. Sarà stato proprietà dei soliti “Orsini” o di altra famiglia importante e, comunque, per essere giunto fino al medioevo doveva controllare una posizione rimasta strategica per molti anni. Il vecchio maniero “diruto” andrebbe studiato in relazione agli altri castelli della zona: quelli di Monte Casoli, degli Orsini di Bomarzo e di Chia. Il castello di Corviano controlla con ampie finestre verso est, la Selva di Malano, tra le Valli del Vezza e del Martelluzzo ed oltre ma, scongiurando presumibili attacchi da ovest, ad opera di truppe risalenti i due corsi di acqua ed operanti malaugurati aggiri, sulle pareti ovest erano state ricavate numerose particolari feritoie per colpire con arma da fuoco gli eventuali assalitori. Questo fatto pone, quasi sicuramente in vita, almeno fino al XIV secolo, l’attività del Castello di Corviano, che comunque meriterebbe una indagine archeologica ufficiale completa, prima scavi clandestini che possano provvedervi e danneggiare ogni cosa.
Corviano etrusca, ben protetta su tre lati da alte ed inaccessibili coste, verso ovest era difesa da una invalicabile muraglia realizzata in pesanti blocchi poligonali di peperino, in prossimità di un bellissimo ponte e di una mola sul Martelluzzo. I blocchi di peperino vennero riutilizzati per costruire il castello sull’acropoli etrusca. Nascosto fra le rocce, sotto il castello, uno stretto passaggio con gradini, consentiva all’occorrenza, di scendere rapidamente alle pendici del costone roccioso, ma si tratta di un’opera sicuramente etrusca.
Oggi affacciarsi dall’ampio balcone naturale, scrutare e proiettare lo sguardo ben oltre le capacità visive di un normale essere umano, rappresenta qualcosa di sorprendente. Il magico, il sacro mondo dei massi erratici si dischiude alla vista. Immaginarsi poi di vedere il serpentone di una suggestiva processione notturna etrusca, illuminata da torce, procedere verso punti “religiosi” quali il Masso del Predicatore, l’Altare o la tomba della Regina e del Re ed altro, illuminati da fuoco sacro!
Bomarzo è lì avanti e sembra di poterla toccare con un dito, così pure Colle Lungo, S.Maria di Monte Casoli ed in fondo, il pittoresco paese di Mugnano avanti ad un bel tratto del Fiume Tevere, a circa 15 chilometri di distanza ed in fondo, verso l’Umbria, i Monti romani, così detti per dire!.
La struttura geologica di buona parte dell’area dell’Italia Centrale, sommersa dalle acque del mare viene a formarsi, nel corso di 200 milioni anni da sedimenti fluviali poi trasformatisi in rocce. Negli ultimi due milioni di anni, prodotti eruttivi leggeri di vulcani formatisi dalle crepe della crosta terrestre hanno colmato e conformato i contorti rilievi della regione Lazio, il cui substrato risulta fondamentalmente composto da tufi posti su argille e sabbie. Dopo le ultime significative manifestazioni vulcaniche, risalenti a 300 /400 mila anni fa, il territorio in esame, si presentava molto tormentato, composto da rocce laviche superficiali (peperino o basalto) sovrapposte a rocce sedimentarie. Questa zona superficiale dell’alto Lazio venne completamente ricoperta da depositi di peperino, frutto del vulcano Cimino facente parte del maggior complesso dei Vulsini. Nel corso dell’ultima deglaciazione, risalente a circa 10.000 anni fa, i ghiacci, in fase di scioglimento, seguendo l’andamento collinare presente, decrescente verso est, si sono spostati in direzione del bacino del Tevere. Nel lento movimento hanno letteralmente tranciato le sporgenze delle rocce trascinandole a valle, depositando ovunque una gran quantità di massi (erratici) in particolare nel vasto territorio della Selva di Malano. Ma grazie al lento lavorio delle acque del Vezza (nome sicuramente etrusco che ci riporta al Vesca di Civitella Cesi), del Martelluzzo, del Serraglio, di S.Maria ed altri, l’aspetto della Selva ha assunto pressappoco l’attuale aspetto, incidendo alte forre tra gli elevati banchi di peperino.