La necropoli etrusca del Ferrone è collocata su una castellina tufacea delimitataa NE dal fosso del Lenta, uno degli affluenti principali del fiume Mignone, da un fosso anonimo a N e dal fosso Ferrone a S che ne erode profondamente le pendici, provocando la formazione di stupendi Orridi sulla sua sommità .
Il Toponimo "Riserva del Ferrone" contraddistingue dunque la frangia di terreno orientata da NE a SO, di forma oblunga, posta tra la strada S.Severa-Tolfa e la Tolfa-Manziana, ad un tiro di schioppo da Bagni di Stigliano. Costituisce in pratica la propaggine di un sistema di quote che scende progressivamente verso l'alveo del Lenta e si sviluppa per circa 600m di lungheze a 200 di larghezza ad una quota di circa 220m.
E' costituita da piroclastiti, ossia lembi di ignimbrite e tufi di vario tipo, anche litoidi a scorie nere, generati dall'apparato vulcanico sabatino, localmente denominate come "castelline" per la loro naturale posizione fortificata. Frequentemente, in zona, tali castelline furono utilizzate come Necropoli per la disponibilità di materiale tufaceo in un habitat prevalentemente calcareo.
Anche se fu S. Bastianelli nel 1942 a segnalare il "pagus" presso il Ferrone, i primi scavi ufficiali risalgono agli anni ’50, fino al '71, condotti dalla Soprintendenza Archeologica dell'Etruria Meridionale con il recupero di numerosi corredi tombali che in parte erano già stati saccheggiati dai clandestini. Successivamente nel '76- '77 e poi nel '86 il GAR avviò un intervento di esplorazione sistematica sull'intero pianoro, identificandovi due nuclei di sepoltura formati da 38 (W) e 5 (N) unità , più alcune altre isolate per un totale di circa 46 tombe a camera.
Oltre alla presenza etrusca, sul pianoro sono stati ritrovati frammenti ceramici dell’età del Bronzo, resti di una villa rustica romana di età imperiale e ruderi di un castro medioevale fortificato (XIII – XIV sec.) che confermano la posizione strategica dell’area durante le varie fasi storiche.
Dalle foto che seguono si può, tristemente, osservare lo stato di profonda incuria dei resti tombali, alcuni completamente ripieni d'acqua, altri ricettacolo di porcherie di ogni genere! Fatto purtroppo non occasionale, ma assolutamente ripetitivo per tutte "le Castelline" della ns zona.
Gruppo “trek” ridotto, ancor oggi, in compenso percorrenze veloci, discorsi agili ed un lieto particolare che ha contraddistinto la giornata: il dolce ed illuminante sorriso di un bambino.
La passeggiata prende le mosse dal cancello in legno avanti il Casale di “Femminamorta”. Il percorso, sperimentato dieci giorni prima, era fortemente dissestato dagli effetti devastanti del tempo impietoso, sconsigliando decisamente di “uscire”, anche se un noto adagio recita testualmente: E’ meglio annà in campagna quanno piove che giocà a briscola e fa 59. Le carrarecce, le larghe, i più piccoli sentieri già mal ridotti dalla pioggia, col percorso dei trattori, moto, fuoristrada e bestiame brado, erano completamente resi impraticabili. Ma oggi, buon per noi, il percorso è in buone condizioni, giorni di ciel sereno hanno prosciugato le acque meteoriche e seccato il fango. Soltanto alcune “guinze”, dure a morire, danno vita a pittoreschi stagni, ove prospera un variegato microcosmo di alghe, insetti ed anfibi.
Le vallecole orgogliose, ormai non si contengono più, proiettano in cielo tutti i colori arcobaleno della loro giusta “pubertà” stagionale. I peri selvatici ed i biancospini con le abbaglianti infiorescenze mostrano ovunque la loro presenza, mentre i rari crògnoli, già primi ad anticipare l’equinozio di primavera, hanno lanciato in aria infiorescenze giallognole. Mentre tra prati, vistosi nìvei tappeti di primule si riflettono fin sull’ultimo orizzonte e contendono le distese ad azzurri e bianchi ranuncoli (anemone apennina, stellata e nemorosa). Non da meno il fosso, gaio, spumeggiante e trasparente volge a valle, serpeggiando tra bianche rocce vulcaniche, passati sedimenti arenari e marnosi. Più in la si fanno avanti rocce sempre più grandi, ed accoglienti verdi bottegoni, che invitano a tuffarsi ed alle immagini a riflettersi. E quando alte colonne rocciose si intravedono sull’erto colle, è là il regno del Ferrone.
Ma è il fitto ed impenetrabile bosco che protegge il minuscolo “pagus”, e scongiura come può, le ennesime profanazioni. Scavi leciti e non, volti a cercare ovunque qualcosa ancora da strappare alla Madre Terra. Sacre tombe gentilizie violate, sacre spoglie di persone care deposte amorevolmente dai propri congiunti, violentate senza rispetto. Ma quando si calpestano questi luoghi, troppe volte sfugge il particolare che il luogo è sacro, profane erano solo le divinità degli etruschi. E che comunque, se c’è un aldilà anche quei nostri Padri ne hanno pieno diritto!
E se non fosse venuto alla luce quel piccolo cimitero, nessuno avrebbe mai sospettato la vita sul pianoro del Ferrone. Le case etrusche, elevate con pareti di legno e ginestra, scomparvero dopo l’abbandono del luogo. Le tombe gentilizie scavate nel tufo no ! Un lungo oblio le custodì amorevolmente interrate, e le persone ivi deposte e gli oggetti sopravvissero, finché non venne edificato un castelletto sul culmine delle rocce, a baluardo della valle del Lenta. La vita tornò sul Ferrone, ma venne anche individuato il pagus. Seguirono da allora devastanti scavi clandestini, ed il piccolo cimitero rese disordinatamente stipi votive. Non venne mai effettuato un inventario, dei reperti rinvenuti, che li attribuisse a questa od a quella tomba, salvo qualche eccezione.
Né il nome del posto è emerso, ma pescato in mezzo a tanti altri toponimi simili, del luogo, che hanno a che fare con il ferro, quali: Pozzo Ferruzzo, Pozzo di Ferro, Ferriere, Cave di Ferro, Ferraria, Castrum Ferrariae, Monte Ferrara, fatto è che poco più avanti del colle, vennero alla luce alcuni forni etruschi per la riduzione di quel metallo.
Ma qualche riferimento al luogo nella letteratura superstite locale si trova, bisogna solamente saperlo cogliere nel giusto verso.
E’ comunque certo che il “Ferrone”, insieme ad altri centri “Qui sunt Minionis in arvis”, nel periodo del Bronzo Finale, dettero un discreto contingente all’esercito di Enea, per potersi insediare nel Lazio e partecipare alla fondazione di Roma. Nel periodo Villanoviano si assiste al rifiorire di numerosi centri urbani attorno al bacino minerario del Mignone, con architetture riconducenti alla prossima lucumonia Ceretana, che verso il IV secolo a.C., abbandonati a se stessi, per motivi storici vengono meno: Pian Conserva, Pian Cisterna, Monte Rovello, Grotta Pinza, Le Coste del Marano, Monterano, Pian dé Santi, Luni sul Mignone, San Giovenale etc.
Al termine della nostra escursione, ritorniamo descrivendo un ampio giro ad arco tangente alla periferia di Tolfa, dopo aver costeggiato la mitica Valigetta (Valle Asceta), per poi risalire la strada della Nocchia e recuperare le vetture.
Vanì 22-03-2010
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Photo by Mastro Chierico & ACE - Published by ACE |