“Finalmente un’uscita degna del Tiburzi”, così recita una non eloquente nota del Ns Ace. Ma definire degna un escursione soltanto per le difficoltà fisiche incontrate, sembra un pò eccessivo, seppur in un Parco unico, come non se ne incontrano più in Italia. Un imponente contesto archeologico privo di storia, lunghi canyon, ricchi di vegetazione, fungevano da impenetrabili vie di comunicazione tra un notevole centro etrusco, purtroppo di sconosciuta identità, e la sua periferia. Ma alcuni studiosi, come il Gargana, hanno voluto identificare l’intero parco, venuto alla luce nel 1800, con l’antica Marturanum, Centro etrusco di cui si disconosceva l’ubicazione, noto soltanto sulle carte per essere citato in alcuni atti ufficiali di cessione nel periodo Feudale e nel libro dei papi “Liber Pontificalis”. Ma gli studiosi proposero quell’identificazione, soltanto perché ai piedi del sito di San Giuliano è venuto fuori un grande pithos dipinto, recante l’iscrizione “(Mini) turuce Larth Manthureie”, trad. letterale: “io sono stato donato da Larth di Mantura”.
Questi signori, pur degni di rispetto per la loro incessante ed utile attività archeologica, non devono aver ben riflettuto sul significato dell’iscrizione dedicatoria posta sul pithos, dono (ex voto) che Larth di Mantura (proveniente dalla città di Mantura – presumibilmente la vecchia Monterano) intese donare al santuario etrusco che sorgeva sull’altipiano di S. Giuliano - pressappoco ove è stata eretta nel XII secolo d.C. l’omonima chiesetta – ricordando, Larth, a contemporanei e posteri, il suo gesto e la città che gli aveva dato i natali. Messaggio, come si evince, che è andato ben oltre i più rosei propositi del donatore.
L’escursione prende le mosse da Porta Canale, alla periferia di Barbarano, per una bella panoramica strada lastricata che porta su una comoda carrareccia fino al punto di accesso sul Biedano. Qui il sentiero per un buon tratto ben esordisce, delineato ed inequivocabile, sotto grandi ed elevate forre, ove ad un’altezza di 70 metri c.a. da terra, uccelli rapaci hanno colonizzato alcune grotte dell’uomo preistorico. Oltre il percorso diviene impraticabile per recenti smottamenti di alcuni pendii, intersecato da alberi di alto fusto caduti conseguentemente, ed ove è rimasto spazio libero un’intricata vegetazione di arbusti ha completato l’opera, precludendo il passaggio tra le gole. Unico elemento favorevole la scarsa portata del Biedano che, altrimenti, ci avrebbe costretti ad abbandonare il suo alveo, per un diverso agevole sentiero, più aereo, e procedere avanti per rientrare entro i tempi di marcia prefissati.
E gira che ti rigira, seppur non voluta e tantomeno prevista, la “zingarata” è poi venuta fuori, più o meno “ufficiosamente” per tutti; non sto neppure a spiegare perché un’escursione venga così definita, basterà solo far mente locale e ricordare l’uscita di domenica 25 ottobre 2009.
Assaporare il piacere dell’avventura, ciò che alcuni “diligenti” Tiburs provano, sulla propria pelle, nelle uscite dedicate alle aperture, propedeutiche per passeggiate più tranquille del Gruppo. Gioie e dolori, passaggi di gioghi, tratti spinati, salto di fossi, risalite su pendii verticali e diagonali infangati, scivolosi, luoghi non più percorsi da anni.
Sofferenze ripagate da aspetti inusitati, meravigliosi boschi lasciati vivere allo stato “brado”, abbandonati ad un “fai da te” raramente più riscontrabile in Italia. Debellato nel “Marturanum”, per volontà dell’Ente Parco, il taglio del ceduo, gli alberi caduti debbono essere eliminati dal sistema, metabolizzati da insetti, funghi e microrganismi. Nel bosco si ricrea una sorta di competizione vegetale, una lotta per il dominio del territorio, ove le piante più forti sopravvivono e generano discendenti sempre più competitivi. Il sottobosco poi non è da meno, ed ove l’humus si fa più nutriente è una lotta all’accaparramento di spazi, e quasi sempre è il rovo a farla da padrone. Ovunque handicap, alcuni tratti del torrente presidiati da spire di “mora” , grandi quanto liane, marrucheti a sbarrare il transito, e poi la intrigata ed “acciaiosa” salsa pariglia che si gioca l’esistenza al tiro della fune, ed un’altra sorta di arbusto “vinciticcio” meglio noto con il nome di Spino di Giuda ….., e poi ancora rovi razzi dall’alto in verticale, in competizione con le liane, ad impedire ogni passaggio, tesi ad abbrancare con le loro spine ricurve e nere frammenti di stoffa, cappelli, capelli e brandelli di carne.
Molti alberi che fiancheggiano il Biedano, apparentemente in vita, sono in realtà morti da tempo e, per la forte umidità, hanno accelerato il processo di autodistruzione, basta appoggiarsi ad alcuni tronchi di questi perché, ormai “sugherini”, cadano in terra alla sfascio. Ma nel mondo vegetale ed in quello animale, nel ciclo della vita organica niente va perduto, tutto è frutto e vita, sostentamento poi di altri. Nascita e morte si alternano senza sosta. Ove cade una pianta una congerie di muschi e licheni, di felci e farfaracci, funghi, saprofiti e simbionti, sintetizzando prosperano, per l’aria sparsi, gradevoli profumi ed essenze di sottobosco, si diffondono.
Oggi gli unici sentieri che si pongono avanti a noi, entro il fitto sottobosco, prossimi quasi alle sorgenti del Biedano, sono in realtà cunicoli di cinghiali che permettono con difficoltà il cammino dell’uomo in posizione eretta. Ed io, in mancanza di meglio, ne approfitto, forte di una certa familiarità. Il torrente presenta il greto quasi asciutto, e tranne qualche “bottegone” che conserva ancora notevoli pozze d’acqua, il resto è percorribile a zig zag tra i grossi bianchi ciottoli levigati. Ma per raggiungere S.Giuliano, quasi ad un terzo del percorso escursivo, ci viene in aiuto un piccolo sentiero che sale verso destra. Abbandoniamo a malincuore il tratto avventuroso del fosso per proseguire, di seguito, per la nuova direzione, ove di tanto in tanto, si ode soffuso il rumore del passaggio di auto, chiaro indizio che la meta è prossima. Percorriamo il viottolo, che frattanto si introduce entro una stradina lastricata etrusca, che sale più in alto, ove si avverte più forte la luce del sole e le raffiche di vento, ora è certo che stiamo proprio per uscire. In fondo entriamo in una “tagliata” antica, al temine ci attende la strada provinciale che si riallaccia al sentiero archeologico.
Il nuovo percorso è piuttosto banale, avremmo dovuto proseguire sul greto del torrente per giungere presso alcuni grossi macigni, proprio là dove nasce il Biedano. Ma il timore di ulteriori sorprese, di impreviste difficoltà che possano pregiudicare le condizioni fisiche di alcuni, mi ha spinto ad optare per questa ultima più semplice soluzione. Peccato perché molti trekkisti oggi, nel presentare le mie scuse e manifestare il mio rincrescimento, per le avversità incontrate sul percorso, contro il mio stupore hanno dichiarato di aver vissuto momenti eccezionali con la sensazione di trovarsi entro la giungla amazzonica donde appunto la locuzione: “finalmente un’uscita degna del Tiburzi”.
Tralascio il resoconto del percorso entro il parco archeologico con le relative note perché già trattato nella nostra precedente uscita del 2007.