Per i “Tibur’s” oggi il confronto con un modesto altipiano tra pittoreschi e scossi paesaggi collinari, Pian Conserva, ove sorse la Necropoli etrusca più cospicua dei Monti della Tolfa.
Percorso su Google
Percorso su IGM 1:25000
Il presupposto di quel toponimo…
Dopo aver girato quel pianoro, in lungo e in largo, mi è balenata l’idea che il nome di “Pian della Conserva” possa derivare dalla gran quantità di acque meteoriche che il sito, dal fondo impermeabile, naturalmente raccoglie, ed appunto “conserva” senza assorbire.
In particolare, tenuto conto che il luogo, un immenso lastrone di tufo pianeggiante, dalle dimensioni di metri quadri 113.920, possa ricevere in un anno ben 40.176.000 di litri di acqua piovana (40.176 metri cubi), un vero lago d’acqua, considerata una piovosità annua di 300 millimetri. La possibilità di sfruttare questa immensa ricchezza idrica non deve essere sfuggita all’uomo preistorico, tantomeno a quello etrusco, che di acqua era particolarmente avido. E mentre cavità naturali, tombe aperte o fosse, possono esser servite fino a pochi anni fa quali cisterne d’acqua, probabilmente gli etruschi devono aver convogliato a valle questa immensa ricchezza attraverso canaline in depressioni naturali o entro pozzi scavati ad hoc, per un utilizzo cadenzato nel tempo, sfruttando lievi inclinazioni del terreno.
Pian Conserva, uno degli innumerevoli pagi che, già attivi oltre duemila anni avanti Cristo, fiorirono attorno al corso del fiume Mignone. Ma più che il fiume furono i minerali dei monti della Tolfa, a favorire il sorgere degli insediamenti umani, e che traghettarono con la loro importanza, l’uomo “neolitico” all’età del bronzo ed alle successive fasi “storiche”. Nelle tombe di Pian Conserva vennero alla luce vari oggetti in bronzo assieme a ceramica vascolare del VII – VI sec. A.C.. Ma fu un deposito cospicuo (c.d. ripostiglio) posto lungo le coste del Marano (10 Km. più a nord sul Mignone), rinvenuto intorno al 1880 ad attestare l’era del Bronzo in territorio Tolfetano. Restituì ben 140 oggetti di bronzo di buona fattura, di presumibile realizzazione locale, (tazze, fibule, pendagli, spilloni ed asce) contenuti in un’olla. I reperti, databili 1100 anni a.C., furono sotterrati probabilmente per sottrarli ad un possibile trafugamento e poi lì dimenticati. Altro consistente deposito bronzeo, in ripostiglio, è venuto alla luce cinque anni più tardi, presso Monte Rovello (Allumiere), comprendente 17 oggetti (11 kg. di peso). Erano contenuti in un vaso tronco conico, simile ad un ossuario biconico. Ma è presumibile che molti altri “ripostigli”, autentici e veri tesori storici, siano ancora sepolti qua e là.
Pian Conserva, come premesso, rappresenta la necropoli più importante dei nostri Monti, avendo restituito ben 90 tombe, di cui alcune chiaramente di influenza ceretana. I rimanenti “pagi” posti sulle sponde del fiume Mignone risultano disseminati, sui numerosi rilievi naturali di origine vulcanica, ad una distanza media, l’uno dall’altro di c.a. 3 o 4 chilometri. E dovevano essere una festa per il luogo, così detto “Campi di Minione”, e non dimenticherò mai che dette un contingente di 300 uomini all’esercito di Enea nella contesa contro i Latini, assieme a Pirgy, Gravisca e Cerète (Mti Ceriti - Tolfa), al comando di Asture (Canto X Eneide).
“”Asture, ardito cavaliero e bello, e con bell'armi di color diverse, vien dopo questi con trecento appresso di vari lochi, ma d'un solo amore accesi a seguitarlo.
Eran mandati da Cerète e dai campi di Mignone, dai Pirgi antichi e da l'aperte spiagge de la non salutifera Gravisca””
I siti più rilevanti, a partire dalla foce del nostro fiume sono: il colle di Cencelle, la forca di Palano, Luni sul Mignone, San Giovenale (breve tratto sul Vesca), la Cerreta, Punton del Cavaliere, Grotte Pinza, Pian Cisterna, la nostra Pian Conserva, Pian Li Santi, la Castellina di Rota, S.Pietro, S.Pietrino, Monte Fortino, il Ferrone e Monterano.
La ragione di questi numerosi insediamenti umani va attribuita, come dianzi detto, alla presenza dei giacimenti minerari del bacino dei Monti della Tolfa, alla importante via di comunicazione fluviale ed allo sviluppo agricolo e pastorale.
L’elemento particolare di Pian Conserva è la presenza di tombe di diversa tipologia, ma il lato sud-ovest del pianoro presenta tombe principesche a tumulo, con elementi di chiara influenza Ceretana. Qui, presumibilmente, fu rinvenuta una tomba, ove, sui lati “a vista” dei sarcofagi e sul banco di fondo, erano scolpiti in bassorilievo due cani da caccia ed un cervo. Queste sculture purtroppo furono asportate in passato ed ora si trovano nei musei capitolini, lontane dalla ubicazione voluta dai committenti. Ma il fatto più eclatante e discutibile è che nessuno sa più da quale tomba furono asportate. Queste immagini hanno similitudine con quelle scolpite sulla Tomba del Cervo del Parco Archeologico di Marturanum.
1) Tomba dei Cani, disegno ricostruttivo delle lastre in bassorilievo: si trovano ora ne i musei Capitolini (RM).
2) Tomba dei Cani, foto della lastra del bassorilievo che si trova presso i musei Capitolini RM
Queste immagini, sono tratte dal volume “Quaderni del Museo Civico di Tolfa”, luogo che vi invito a visitare, a complemento delle vostre uscite nei siti del Monti circostanti.
La maggior parte delle tombe presenti, non sono ancora state scavate. Mancanza di fondi “nazionali”, eccessiva ricchezza del patrimonio archeologico italiano, tutto ciò, con immenso piacere e sollazzo dei “tombaroli” che per quattro danari svendono il nostro passato.
La presenza di due ville rustiche romane, lascia intuire la continuità della vita, sul luogo, sotto altra forma politica, anche dopo la romanizzazione dell’Etruria. Ma significativa ed abbastanza bella é la tagliata che doveva rappresentare il cammino dei carri funebri verso l’ultima dimora. Posta a nord est del piano scende fino a valle, facendo intuire che il paese etrusco doveva trovarsi più in basso - tra i torrenti dell’Acqua Bianca, il Verginese ed il fiume Mignone - in luogo ancora ignoto, così collegato con il suo cordone ombelicale al mondo dei morti.
Ma qui val la pena spendere qualche parola, riportando una considerazione personale sul Fiume Mignone, sulla sua funzione mutevole nel tempo, quale importante via di comunicazione e di sviluppo della Tuscia.
Chi ha seguito per tutto il corso dei suoi 62 chilometri quel fiume, avrà di certo notato che una gran parte del suo tratto finale presenta un alveo così ampio (da Luni a Montericcio per l’esattezza), scavato tra rocce, che distano molto tra loro. Questo può significare che il corso d’acqua doveva avere un tempo, un’enorme portata, ma che oggi si è ridotta al punto che stagionalmente riesce a fatica a tamponare le esigenze idriche di Civitavecchia. Spontaneo domandarsi dove sia finita tutta quella ricchezza naturale, ora svanita. E’ da tempo che nutro una certa idea, supportata dalla carta topografica, dalla realtà fisica del territorio e da considerazioni logiche. Il mio pensiero appunto é che i Tarquiniesi, nel IV o V secolo a.C., deviarono il Torrente Biedano dopo l’abitato di Blera, per loro interesse, facendolo immettere nel Fiume Marta, sottraendo le sue fluenti acque agli affluenti del Mignone, Torrenti Canino e Vesca lì prossimi (cerco proseliti!).
Altra discussione si potrebbe aprire sulla egemonia di lucumonie maggior spicco su Pian Conserva. Alcune tombe di chiara influenza ceretana porterebbero ad avvicinarla a Caere dai secoli VII al V a.C.. Presumibilmente nel momento della romanizzazione di Caere il sito rimase autonomo, come del resto lo doveva essere anche nei secoli VIII e precedenti. Non si spiegherebbe infatti perché il Mantovano (Virgilio) nella sua Eneide parli del contingente inviato ad Enea da “…Ceréte e dai Campi di Minione …”, altrimenti Virgilio avrebbe omesso l’indicazione dei “Campi di Minione”, riconoscendo a questi una certa autonomia e sovranità militare e nessuna dipendenza da Caere.
Tanti Tiburziani sono oggi convenuti, altrettanti ritardatari, ci hanno raggiunto con le vetture nel corso dello spostamento. Credo di poter comprendere, senza ombra di dubbio, il segreto della riuscita di una “passeggiata”. Deve essere questa breve e prevedere una grigliata sul campo, fatto molto aggregante.
Nessuno ha contato il numero dei partecipanti, forse 60 o 65, né è possibile farlo ora, dalle foto di gruppo, perché tanti distratti, come il sottoscritto, non sono stati ripresi!
E mentre oggi incidiamo con il coltello, un’ulteriore tacca sul nostro bastone di legno, attrezzo di sostentamento ma anche primordiale calendario implacabile, ovunque è un generale saluto, abbracci, sfoggio di sorrisi, dai gruppuscoli si ode qualche racconto delle ferie passate. Evidente il piacere dell’incontro, con una gran voglia, generale, di tornare “sul campo” per sgranchire le ossa e di stirare i muscoli lunghi.
Ora il nostro sito internet “Gruppo trekking Tiburzi”, viaggia sulla soglia di 25.000 visitatori nell’arco temporale di un triennio. Abbiamo anche ricevuto appaganti riconoscimenti, nazionali ed esteri sulle nostre escursioni e sui testi, che evitiamo di trascrivere, la vanità non ci tenta, che comunque inorgogliti, compensano lo sforzo organizzativo della dirigenza tutta.
Oggi, dicevamo - mentre il mondo dei nostri grandi è intento a seguire gli “spread finanziari” e sta partorendo la “Tris(t)e”, la “Tari” e la “Tasi” (ma dove li troveranno ‘sti nomi) - il Tiburzi, prossimo a compiere 25 anni di attività ininterrotta, si arricchisce di un’altra pagina di storia, quella di un piccolo “pagus” gradevole, suggestivo, sconosciuto a molti, quasi non fosse mai esistito. Pur posto lì nel campo, dietro una curva della Braccianese Claudia, dove siamo passati e ripassati mille volte senza saperlo. E noi gioiamo, lontani dalla politica e dal mondo che conta, per la gioia di conoscere antichi insediamenti nascosti.
Ma oggi, bisogna dirlo, non tutti si sono “stravaccati” stanchi a ritemprarsi sul pianoro, a “far grigliata”, … oggi raccoglitori di piante aromatiche, di funghi (sic), di fiori e di chi fa di tutta un’erba un fascio, si son dati convegno e sfidati sul campo, dando sfogo e vita alla loro passione. Mentre il nostro Colonnello Chierico, il più abile fotografo del Tiburzi, come sempre, si sbizzarriva e prodigava per il bene comune “casus situ” a studiare ed immortalare gli angoli più belli e reconditi del luogo, ed i piccoli Lorenzo, Tiziano e Giulia, si godevano la piena libertà del loro magico momento, davanti a tanta natura, intorno al fuoco “aggregans”, correndo sul prato, strabuzzando gli occhi nell’avvicinare amorevolmente, ripagati, un bel cavallo baio, desideroso di carezze.
Dimenticavo il sacrale momento “dell’angolo dei dolci”, tutti ottimi e del caffè, ancora caldo dopo ore ed ore di stress … (ma come faranno queste signore). Guai a dimenticare le artefici, si potrebbe interrompere una delle più belle e sane iniziative del Tiburzi.
Vani 20 Ottobre 2013