Un Tiburzi poco sopra la “soglia di sopravvivenza” ha dato vita, domenica 20 marzo, ad una delle più belle traversate del programma escursionistico.
Un’uscita “cazzuta”, per gente abile e forte. E dalla base è giunta una giusta risposta all’appello, persone di poche parole, ma svelte a capire e capirsi con un semplice sguardo.
Il borgo di Sorano si presenta raggomitolato, al rigore di una impertinente tramontana decisamente fuori luogo e tempo. Le pittoresche stradine, i graziosi viottoli, gli accoglienti canti e le linde piazzole, si sono contratti per respingere il vento e combattere meglio una temperatura rigida.
Sotto l’alta costa dirupata, dominata dal Masso Leopoldino parva gente oltremodo coperta viaggia entro pesanti pastrani di lana cotta. Cappelli rincalcati, pesanti scialponi lasciano appena intravedere le sembianze dei volti. Ma in breve il borgo si anima del flusso tiburziano, nei bar, ovunque si diffonde impertinente il nostro dialetto, che è allegria, brio e vita per gli scarsi esercizi commerciali di servizio.
Il Gruppo parte subito per Vitozza ed appena sotto l’Arco dei Merli - ornato delle insegne regali dei Medici e degli Orsini, dopo aver disceso una panoramica stradina basolata - avverte i primi caldi raggi del sole nel ridosso dell’alta forra. Superati i caratteristici ponticelli a schiena di mulo sul Lente, imbocca la Via Cava di S.Rocco, per invertire poi rotta verso la centrale idroelettrica, sopra l’elegante cascata sul fiume.
E’ la volta del sentiero n. 1 che giunge alle pendici dei colli di Vitozza e raggiunge le nascoste Sorgenti del Lenta, entro la grotta delle ranocchiette rosse, a ridosso della bella ed imponente cascata d’acqua. Ma la scena oggi è azzerata da una miriade di rifiuti di plastica accumulati tra gli arbusti ripariali, che durante le piene, trattengono di tutto. Ma il bosco finale ci accoglie verde e caldo, sul far della gemmatura, e ripaga.
Un’estenuante risalita per la soave e placida vista sulle multiformi grotte già di popoli trogloditi, poi dei rinaldoniani, degli etruschi ed, a seguire, abitate senza soluzione di continuità quasi fino milleottocento.
L’ultima “cives vitozzana” registrata, Maria Agostina Brunetti, al secolo “la riccia”, ormai vecchia malandata e tumefatta dall’artrosi, lascia a malincuore la sua grotta – catalogata con il n. 15 – composta di due vani e mezzo, bui, bruciacchiati, con splendida vista sul Fosso Barcatoio, per andarsene scontenta del commiato, a rendere l’anima a Dio in una comoda casa di S.Quirico.
La solita visita al triste colombario con annesso forno crematorio a giorno (allagato), quindi la risalita del colle tra il primo castello, la chiesaccia ed il secondo castello.Il bel prato sul pianoro – già acropoli etrusco - strizza l’occhiolino alle nostre “veline”, che agognando una “scampagnata ad hoc” tra le margherite pratoline, completamente dedicata alla distensione del corpo e dell’anima, ci strappano una mezza promessa …. il ritorno per l’incombente primo maggio.
Per quanto evidenti e copiose emergenze preistoriche e storiche si lascino intravedere tra le alte rocce e la fitta vegetazione, nella letteratura storica giunta sino a noi, non risultano elementi o note che facciano riferimenti ai periodi “avanti Cristo” del nostro luogo. Soltanto la presenza di vari colombari, qui cosi numerosi, come non si sono mai visti altrove in Etruria, denunziano il triste passaggio della conquista romana avvenuta, come nel resto d’Etruria - nel 300 a.C..
Ma non si può supporre che Sorano sia sorta soltanto agli inizi del terzo secolo a.C.! Le varie tagliate etrusche, le centinaia evidenti tombe rupestri delle valli, ridotte già dal medio evo a grotte ricovero animali ed attrezzi agricoli, non sono affatto opere riferibili al “periodo romano”! Ovunque senza soluzione di continuità, lungo le alte coste di tufo sul Lente, da Sorano fino a Vitozza, è un susseguirsi di nicchie, grotte, case ipogee e tombe scavate nelle rocce. Il paese stesso presenta, nei piani bassi delle abitazioni, chiare connotazioni etrusche, mura ciclopiche connesse a secco e case ipogee. Possiamo dunque ritenere, a giusta ragione, che il luogo oggi visitato, date le sue particolarità fisiche ed architettoniche, abbia onorato tutte le fasi preistoriche e storiche umane.
Nell’anno 862 e fino al 1312 Sorano è feudo dei conti Aldobrandeschi. Con la morte di Margherita ultima discendente del ramo di quella Famiglia, termina il dominio dell’importante dinastia feudale sulla contea.
La contessa Margherita, unica figlia di Ildebrandino - andata a nozze con Guido di Montfort, vicario in Toscana del re Carlo d’Angiò, dopo che quest’ultimo cade in disgrazia - fa annullare il suo matrimonio.
In seguito Margherita convola a nozze ancora altre quattro volte e, tra matrimoni ufficiali e morganatici, riesce finalmente a mettere al mondo un’erede, Anastasia. La stessa sposa il 25/10/1293 Romano Orsini di Gentile. Il feudo Soranese finisce quindi nel patrimonio dell’importate famiglia romana. La contea successivamente passa nelle mani della repubblica di Siena, per tornare poi agli Orsini e finire infine sotto la giurisdizione dei Medici.
Sorano può vantare qualche nascita illustre. L’uomo più importante che si conosca è senz’altro Ildebrando Aldobrandeschi, venuto al mondo in Sovana già Comune di Sorano (1014-1085).
Lo stesso, con il nome di Gregorio VII, sale al soglio pontificio nel 1073
Di lui ricordiamo le diatribe con l’imperatore Enrico IV e la successiva emanazione del “Dictatus Papae”, per la lotta delle “investiture” e per affermare la supremazia del “pontefice sull’imperatore”. Le reazioni dell’imperatore all’editto non vennero gradite in vaticano e spinsero il Papa a scomunicarlo ed a dichiararlo decaduto.
Enrico IV, per farsi togliere l’anatema e riacquistare la fiducia papale al trono, fu costretto a scendere in Italia e sostare umiliato sotto il castello di Canossa, ove Gregorio VII si trovava in visita della contessa Matilde. L’attesa fu piuttosto lunga, anzi storica, e l’imperatore dovette sopportarla. Davanti al portale d’ingresso del castello egli sostò per tre giorni e tre notti inginocchiato col capo cosparso di cenere. Finalmente Gregorio VII ricevette l’imperatore ed il colloquio si risolse con un compromesso: la revoca della scomunica ma non la dichiarazione di decadenza dal trono.
Enrico IV se ne tornò in Germania con le “pive nel sacco”, ma la sua vendetta tardò soltanto alcuni anni, come del resto è storicamente noto. Assediò Roma, coadiuvato dai Normanni, facendo deportare Gregorio VII in Salerno, ove in pietose condizioni morì nel 1085.