Nasce da Poggio Coscia (mt. 612 s.l.) a Nord Ovest del Lago Sabatino (Bracciano). Con i suoi 62 chilometri di lunghezza, è uno dei principali fiumi del Lazio. Anzi si può tranquillamente asserire che è un corso d’acqua di tutto rispetto completamente laziale, nasce e muore nella nostra Regione, attraversando le province di Roma e Viterbo. I paesi e città che il fiume tocca lungo il suo corso sono: Veiano, Oriolo Romano, Canale Monteranno, Tolfa, Allumiere, Tarquinia e Civitavecchia. Le sue acque vengono sfruttate principalmente per irrigare le campagne delle località predette e per integrare le risorse idriche delle città di Tarquinia, Civitavecchia e S.Marinella.
Il letto e le sponde del fiume sono generalmente formate da rocce sedimentarie, trachitiche e tufacee. In alcuni tratti il lento scorrere delle acque ha eroso il suolo formando profonde forre, tanto che in più punti risulta difficoltoso risalire le sue sorgenti. Ma in più punti sono stati costruiti, nel tempo, ponti funzionali per le esigenze delle popolazioni rivierasche.
Passando in rassegna dalla foce alle sorgenti possiamo enunciare: un ponte romano sull’Aurelia antica, in prossimità dell’attuale S. Agostino, ora scomparso. L’attuale ponte sulla S.S. Aurelia. Il leggendario ponte di Bernascone spaccato in due dalla piena delle acque. Un guado sulla strada sterrata Montericcio-Monte Romano. Altro guado in località cinque casette. L’ormai famoso Ponte di Ferro presso Luni. Il guado presso Passo Viterbo (sotto Tolfa). Il Ponte di Rota per Civitella Cesi. Il guado all’alteza di Stigliano. Lo sbarramento sotto Monte Augiano. Il ponte sotto le Rovine di Monteromano. Il ponticello in cemento sotto Canale Monteranno. Il ponte diruto prima della Mola di Oriolo. Lo sbarramento di acque dopo Oriolo Romano. Oltre ad alcuni ponticelli pensili (etruschi?) che erano posti sotto Tolfa e tra Monte Augiano, ormai non più presenti, portati via dalla piena ma che sarebbe il caso di ricostruire, per ricordare il tempo passato e, per realizzarli non si dovrebbe neanche spendere tanto, oltre un miliardesimo di quanto ipotizzato per il ponte sullo stretto. L’immagine più avanti presentata è stata ripresa anni or sono al Ponticello sito in prossimità del territorio di Stigliano-Monte Augiano.
Passiamo ad elencare i torrenti e/o fossi immissari del Mignone: Il Lenta, il Verginese, il fosso dell’Acqua Bianca, Il Canino, il Rio Mancino. Il Ranchise, il Melledra, il fosso della Vite.
Il Mignone, una volta con più portata d’acque, è oggi un fiume a carattere torrentizio, il livello delle sue acque dipende esclusivamente dalle precipitazioni annuali. Nel periodo estivo parte del suo corso è praticamente asciutto, onde il riflesso sulla condizione idrica agli acquedotti serviti.
Ma è la storia a “divinizzare” il fiume: i Romani lo chiamavano Minio flumen, per il colore rosso del minio che trasportava le sue acque. Per gli etruschi era il Caeritis. Ma ciò di cui può maggiormente vantarsi è di essere stato identificato in quel fiume, che Enea risalì, per ricercare la località origine della stirpe dei Dardanidi, progenitrice del troiano. Ricordano, testi latini, che Enea, a conoscenza che i Dardanidi provenissero da una regione posta a nord di Roma, ove vi era un fiume navigabile, dalle fresche acque, il Mignone. L’eroe dalle indicazioni in suo possesso riconobbe il fiume, lo percorse con imbarcazioni leggere, visitando tutti i “pagi” del periodo del bronzo dislocati sulle sue rive. Noi, facendo i cosiddetti “conti della serva” possiamo elencare dal mare ai monti, i centri che presumibilmente Enea visitò, perché già presenti intorno al quattordicesimo secolo a.C. : l’Abitato preistorico di Cencelle e Ripa Maiale, Monte Rovello, le Coste del Marano, la Grasceta dei Cavallari, la Tulfa, Pian Conserva, Pian Cisterna, Pian de’Santi, il Ferrone, Monte Fortino, Monteranno (Manturna).
Ma possiamo osare ancora per rammentare che l’eroe troiano, giunto alle foci del Tevere, al termine di una lunga peregrinazione sul mar Tirreno, dopo le innumerevoli avversità poste sulla sua strada da Giuno (la Dea Giunone), volesse qui stabilirsi con il suo popolo. Ma la divinità “avversa” contrastò ancora Enea, spingendo i Latini a scacciare Enea dal proprio territorio. Il troiano allora si reca da Tarconte ed Evandro per chiedere alleanza alle popolazioni etrusche. La storia, raccontata da Virgilio nell’Eneide – Libro decimo -, riferisce i popoli che aderirono alla richiesta di Enea tra cui:
…… qui sunt minionis in arvis …… Asture, ardito cavaliero e bello, e con bell'armi di color diverse,vien dopo questi con trecento appresso di vari lochi, ma d'un solo amore accesi a seguitarlo. Eran mandati da Cerète e dai campi di Mignone, dai Pirgi antichi e da l'aperte spiagge de la non salutifera Gravisca, ….
VERSIONE ITALIANA |
VERSIONE LATINA |
PUBLIO VIRGILIO MARONE: ENEIDE - LIBRO X ...................... Questa avea sotto al suo rostro dipinti, ......................
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PUBLIUS VERGILIUS MARO: ENEIS - LIBER X ...................... Illi inter sese duri certamina belli Pandite nunc Helicona, deae, cantusque mouete, Massicus aerata princeps secat aequora Tigri, Non ego te, Ligurum ductor fortissime bello, 185 Ille etiam patriis agmen ciet Ocnus ab oris, ......................
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Rientriamo ancor oggi nel magico territorio di Manturna. La dea dell’oltretomba esordisce così nel suo regno come le è solito fare, con forti accenti autunnali. Colori vivaci esaltanti, scarsa luce soffusa, brusio di sottofondo dello scorrere di acque correnti. Mentre una gorgogliante sorgente di acqua termale, sospinta in superficie da correnti gassose, profondo sospiro delle viscere della terra, spande per l’aria caratteristici effluvi di zolfo. Poco avanti il benvenuto di un piacevole laghetto sotto cascata, prodotto dalla diga medievale posta sul fiume, balena le sue acque e riverbera il riflesso di alti pioppi di un moto lento, ondulatorio, rilassante. E’ questo un notevole complesso molare a cui non resta ormai che accumulare inutilmente una raccolta d’acqua, e far sognare con il suo quadro, lo spirito dell’ultimo romantico. Due finestre poste nel corpo della diga di sbarramento ove, un tempo non lontano, erano alloggiate le pale di rotazione per il movimento delle enormi macine in trachite, ricordano la produzione di olio d’oliva, farine di cereali a costo zero. Ma la mola è da tempo “a spasso”, priva di lavoro, in C.i.g., seppur olive e grano continuano ancora ad essere coltivati dall’uomo per la sana alimentazione mediterranea, frutto di esperienze della cucina di ben quattromila anni di nostri antenati.
Da questa mola si diparte il viaggio odierno per seguire, verso la foce, un tratto dell’alto corso del Mignone, e risalire, verso nord nord-ovest, amene verdi colline, per poi puntare decisamente verso est fin dove sembra perdersi il mondo e poi via via per il Casale di Fontiloro, dove occorre deviare, ad est sud-est, se si vuole intercettare nuovamente il nostro fiume, per risalirne le sue sorgenti, se si ha in mente di raggiungerle, per poi tornare a ritroso, percorrendo le sponde del Mignone, al nostro punto di partenza. E’ un discorso complicato ma estremamente ben chiaro per le guide del Gruppo, che dispongono di esperienze quarantennali e buon senso di orientamento, pur senza strumenti fisici o satellitari!
L’escursione parte all’incirca dal Km. 59 del Mignone. Attraversando un tratto poco frequentato del fiume per le avverse condizioni ambientali: alte e franose coste di tufo, prorompente ed intensa vegetazione frutto di estemporanee ed imprevedibili piene. E’ qui che le acque, inaspettatamente dopo abbondanti piogge, prendono forza sospinte dalle alte pareti verticali. In un attimo, senza scampo alcuno, tutto viene travolto, spostato, trascinato dalla furia del fiume. Poi dopo tre, quattro giorni, giusto il tempo che le acque percorrono furiosamente 62 chilometri per scaricarsi nel verde Tirreno, perché tutto ritorna tranquillo ed il fiume: amico più di prima.
Nuovi scenari si presentano nel Mignone, nuovi quadri, più belli e suggestivi. Ma passati cinque, dieci anni, quando ormai più nessuno ricorda la passata calamità naturale, ed ha ripreso fiducia ed osato ancora, che la natura ripete i suoi gesti, e si riappropria di ciò che legittimamente le appartiene. Soltanto i lontani sfondi del fiume, pallidi e vaghi lineamenti, restano a ricordarci ciò che era stato prima. Ovunque alberi di traverso, enormi blocchi di tufo disseminati qua e là, cubici parallelepipedi regolari e non, qualche straordinario groviglio di vegetali incollati sugli alberi superstiti, sorretti in alto da forze occulte, all’altezza del livello della piena passata, quasi liberi dalla forza di gravità.
E noi trekkisti tutti al via, daccapo a riaprire il sentiero, a ricercar passaggi sui nuovi argini, entro il nuovo percorso di guerra, per ripristinare e tramandare l’escursione.
Nel percorso occorre ben scegliere ove posare opportunamente lo sguardo sulla natura, per non distrarsi e coglierne gli aspetti più belli, più invitanti, che soltanto le foto faranno capire ciò che, involontariamente, si è perduto.
Ma i tratti del Fiume più temuti si risolvono poi, tra i più ben affrontati, malgrado alcuni critici passaggi. I guadi, pur tutti muniti di adeguato equipaggiamento (stivali ed economiche buste da muratore), vengono superati agevolmente con scarpe da trekking soltanto.
Quando si esce dalla penombra ripariale alla luce del sole un paesaggio molto familiare per i possessori di computer si presenta: le verdi e tondeggianti colline ricordano, straordinariamente, una delle pagine del desktop di Windows. Una discreta salita mette alla prova le caviglie, il fiato si fa pesante finché, raggiunta la sommità del colle, si attraversa su una comoda sterrata in piano, un tratto “pulito”, fino alla sorgente dell’incantevole fosso del Vecchiarello. Si risale uno stradone fino a raggiungere il bianco casale di Fontiloro, ove reperti etruschi potrebbero aver dato il toponimo al luogo. Raggiunto finalmente il passaggio in cemento sul Mignone non resta che dar sfogo ai nostri appetiti, su un opportuno ed amichevole prato. Al termine si risale la corrente del fiume per giungere là, dove nasce. Ma quando mancano alcune ore al tramonto, inversione di marcia per discendere alla nostra Mola, chiudere l’escursione, per evitare che sopraggiunga la notte nei tratti difficoltosi.