LE STRADE “ROMANE” – CONSOLARI E PROVINCIALI.

La politica espansionistica romana e le mire verso i ricchi territori limitrofi alla Repubblica, prendono le mosse dalla conquista di Veio, nel IV secolo a.C., posta a poco più di 10 km. da Roma, in territorio Etrusco-Falisco. Di seguito, la continua “escalation” tra guerre e conquiste di altri popoli, sempre più distanti, ha quasi predisposto i romani, per meglio gestire ed amministrare i territori, alla costruzione di strade, che permettessero un rapido collegamento con le zone periferiche dominate. E a dire il vero quel popolo risultò particolarmente versato nella costruzione di ottime strade, reti fognarie ed acquedotti, che correvano alcune volte paralleli agli assi viari. La costruzione delle tratte stradali avveniva seguendo valide tecniche, che assicuravano lunga durata. Il manto stradale era formato da una pietra lavica durissima, il basalto, capace di sostenere le più forti sollecitazioni. La stesura dei grossi basoli pentagonali era preceduta da uno scavo profondo 40 o 50 cm, che veniva riempito con pietra terra e sabbia, cementate con malta. Poi, le lastre di basalto, erano tenute ferme, tra loro da petrisco. In questa maniera il fondo stradale filtrava l’acqua piovana, ed il manto superficiale risultava sempre perfettamente asciutto e percorribile in tutte le circostanze. La larghezza della carreggiata stradale, di mt. 4 o 6, costante, permetteva il transito nei due sensi di marcia di due carri. Mentre alcune piazzole, di quando in quando, consentivano a carri più lenti, di lasciar il passo ad altri e non intasare il traffico.

Le strade consolari partivano tutte da Roma, conseguentemente a questa tutte riportavano. Le arterie raggiungevano i confini dell’impero e raramente collegavano le provincie, trasversalmente fra loro, per evitare accordi ed insubordinazioni comuni. Parecchie di esse erano state costruite sotto l’egida di un console e di questi ne portavano il nome, Via Aurelia, Cassia etc.. Altre, pur di una certa dimensione, ricordavano il motivo per cui erano state create: Salaria (trasporto del sale), oppure il nome della località di destinazione Ardeatina (Ardea) Amerina (Ameria).

Queste vie di comunicazione venivano costruite secondo il sistema ortogonale, utilizzando l’etrusca groma (gruma), strumento che consentiva di mantenere l’itinerario sempre diritto rispetto al punto di partenza. Ad ogni miglio era posta una pietra “miliare”, numerata, che portava il nome della strada, la distanza da Roma e quella per giungere al termine. La prima pietra miliare, posta a Roma, era detta “miliario aureo”. Nei tratti urbani erano ricavati passaggi pedonali su pietre, che sporgevano dal terreno ad una distanza, tra le stesse, tanto da permettere il transito delle ruote dei carri ed il passaggio dei pedoni sulle pietre sopra il livello di eventuali allagamenti. La manutenzione delle strade era affidata ai centri urbani collegati. I tracciati stradali superavano i corsi d’acqua attraverso appositi ponti, eretti con criteri e tecniche valide. Molte di queste strutture risultano ancora attive e probabilmente lo saranno ancora per molto. I piloni venivano realizzati entro gabbie lignee, formate da una serie circolare di pali conficcati nel letto del fiume. Pompe idrovore asciugavano l’acqua entro queste gabbie di legno ed al termine cominciava la erezione dei piloni con ciclopici macigni alla base, e via via con pietre sempre più piccole abilmente sagomate, rette con malta cementizia romana.

Lungo tutte queste strade erano poste, per uso e servizio, tra un centro urbano e l’altro, tutta una serie di strutture che rispondevano al nome di: “mansiones”, “cauponae”, “mutationes” “stationes”, “tabernae“,

Sappiamo che i viaggi su queste strade non erano celeri. Ci si metteva in viaggio per giorni, con particolari vesti ( sopravvesti, spolverini da viaggio, che salvavano le vesti dal polverone delle strade) e si percorrevano 30 o 40 chilometri al giorno. Ci si fermava presso le stationes pernottando nelle cauponae, ove si poteva cenare con un piatto di calda minestra, della carne ed un buon bicchiere di vino che il luogo, generalmente dispensava. Non infrequenti erano le aggressioni dei briganti o malfattori, in agguato su particolari postazioni naturali lungo le strade, che sottraevano ogni cosa al seguito dei viandanti, fino a mettere a repentaglio la loro sopravvivenza. Non vi erano allora persone che sovraintendevano alla incolumità dei viaggiatori. Soltanto pochi dignitari potevano contare su scorte armate al seguito, che assicuravano incolumità da ogni scorreria.

I sistemi di trasporto erano il cavallo, il mulo, carri a trazione animale, principalmente cavalli o buoi. E ci si metteva in marcia per mille motivi, raggiungere parenti in località limitrofe, andare a Roma per lavoro, per commerciare, per assistere a spettacoli gladiatori, per cause civili, per visitare la Città, per cercare fortuna, pur senza contare talune volte, giunti a destino, su un riferimento certo. Particolarmente intenso era il trasporto di derrate alimentari nonché, senza alcun controllo, il passaggio di bestiame brado (cavalli, mucche, pecore) diretto ai mattatoi e verso gli ampi mercati di Roma.

Le strade costruite dai romani, generalmente per scopi militari o commerciali, raggiunsero, nel periodo della massima espansione della tarda repubblica 80.000 / 100.000 chilometri di estensione, la maggior parte di queste rappresentano ancora  il tracciato dell’attuale rete stradale europea. 

La mappa generale delle vie di comunicazioni consolari romane, era realizzata in marmo, ed era esposta al foro romano. Era questa una forma orgoglio del popolo, a cui venivano ostentatati i risultati della politica espansionistica centrale romana e metteva in risalto le conquiste territoriali e le eccezionali e molteplici vie di comunicazione realizzate.

Sempre presso il foro romano erano in vendita pergamene che ricalcavano parziali tracciati delle strade romane che dovevano servire, a guisa delle nostre carte stradali, per orientamento e per consentire di intraprendere, con sicurezza, viaggi entro i territori dominati. Chissà in quale archivio sono finite tutte queste copie di carte stradali. Oggi sarebbe favoloso possedere una di queste pergamene.

La “tabula” Peutigenriana

Quando l’umanista ed antichista Konrad Peutinger, cercò di pubblicare la famosa “tavola”, che peraltro ereditò dal suo amico Konrad Bichel, che rappresentava la carta di 200.000 chilometri di strade romane, su 11 pergamene, non avrebbe certamente mai immaginato che il suo cognome avrebbe viaggiato nel tempo. Correva allora l’anno 1540 circa. Ma morì, il Peutinger, come il Bichel, prima di riuscire a raccogliere i frutti del suo progetto.

La carta porta la posizione delle città, dei mari, dei fiumi, delle foreste e delle catene montuose. Essa non è una riproduzione fedele della realtà geografica, non era stata concepita per questo, tutt’altro, non esistevano neanche i mezzi per conoscere perfettamente la forma dei continenti. Essa deve essere considerata come rappresentazione simbolica geografica, una sorta di diagramma, una indicazione tale e quale a quelle che si trovano sulla porta di ingresso delle metropolitane, e che danno contezza sulla sequenza delle fermate, delle località toccate, delle distanze e della conformazione orografica relativa.

La “tabula” è, probabilmente, stata realizzata su una copia della carta del mondo elaborata da Marco Vipsanio Agrippa (64 a C. 12 a C.), genero dell’Imperatore Augusto. La redazione del documento si deve alla illustrazione, al senato romano, della rete viaria pubblica, della illustrazione delle stazioni di posta, delle località toccate e delle distanze calcolate in miglia romane (un miglio km.1,480).

La carta fu incisa su marmo e posta sotto il Porticus Vipsaniae, prossimo all’Ara Pacis, lungo la Via Flaminia. La “Tabula” rappresentava tutto l’impero romano, l’Oriente, l’India, riportava il Gange e o Sri Lanka, e vi era menzionata anche la Cina.

Ben 555 città erano evidenziate, con altri 3500 punti di interesse geografico. Santuari, fari ed altre emergenze importanti, sui tracciati stradali.

La Tabula, come anzi detto, era composta da 11 pergamene, ma una dodicesima, forse smarrita, doveva rappresentare la Penisola Iberica, risultata mancante.

La Tabula, è stata stampata nel 1591 ad Anversa, con il nome di “Fragmenta tabulae antiquae”, dall’editore Johannes Moretus. Il manoscritto è datato nel XIII secolo. Sarebbe opera di un copista di Colmar, che avrebbe riprodotto intorno al 1265 un documento più antico.

La prima copia doveva comunque essere posteriore al 328 perché riportava la città di Costantinopoli, che fu fondata in quell’anno, mentre per altri particolari, si ritiene che riporti località già presenti in epoche antecedenti al 109 a.C.

Tale tavola è tutt’oggi in vendita, in copia, anche tramite “internet”, e rappresenta un quadro ornamentale per uffici di viaggio ed altro. E’ comunque un documento molto legato alla nostra storia e cultura, scippato dal solito viaggiatore europeo, che scartabellando gli innumerevoli archivi comunali e parrocchiali del nostro Paese, rinvenendo l’interessante documento, ha intravisto la possibilità di arricchirsi con la pubblicazione e vendita di innumerevoli copie. Rappresenta ciò, un attestato, un inventario storico della rete stradale italiana/europea, di alcuni tratti viari oggi scomparsi perché non più percorsi (Via Amerina ad esempio!) che per cultura oggi sentiamo la necessità di ritracciare, al fine di riscrivere la nostra storia, di capire movimenti e strategie dei popoli, per riappropriarci della nostra realtà e per sentire, sempre vicine a noi, le nostre radici!

Codice

STRALCIO DELLA TAVOLA PEUTINGERIANA
(da Wikipedia – internet – “l’Enciclopedia Libera”)
L'immagine mostra I Balcani la Jugoslavia, l’Adriatico con l’Isola di Cefalonia,
la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la costa Libica di fronte.

 

LA NOSTRA VIA AMERINA (rif. Wikipedia.org/wiki/Via_Amerina)

Costruita presumibilmente nel terzo secolo a.C., su preesistenti tracciati etrusco-falisci. Collegava Veio con Ameria (Amelia), toccando centri quali Nepi (Nepet), Falerii, Corchiano (Fescennium), Gallese, Vasanello, Orte (Hortae) (vecchio territorio falisco). Oltre Amelia, la Via proseguiva per antichi tratturi che si ricollegavano con la media e l’alta valle del Tevere. E le città di Todi (Tuder), Bettona (Vettona) e Perusia (Perugia). Dopo l’apertura della Cassia, l’inizio della nostra Amerina fu spostato più a nord, presso l’attuale paese di Baccano (ad Vacanas). La distanza totale tra Roma ed Amelia era di 56 miglia, (Orazione pro-sexto Roscio Amerino – Cicerone 80 a.C.). La distanza è all’incirca confermata dai dati riportati sulla Tabula Peutingeriana, miglia 55. Probabilmente la diffusione del Cristianesimo in occidente è dovuta anche a questa Via. A testimonianza di ciò le memorie dei numerosi Santi e Martiri che si riscontrano nei territori attraversati dall’Amerina: SS.Tolomeo e Romano (Nepi), SS. Fermina ed Olimpiade e Secondo (Amelia) etc. La Via, dato il suo particolare andamento “Nord-Sud”, consentì rapide invasioni e scorrerie dei Goti, Longobardi e Bizantini. In particolare per questi ultimi, rappresentò uno strumento valido e strategico per riunire i possedimenti del Nord (Esarcato di Ravenna ) con quelli del Centro. L’arrivo dei Longobardi nell’Italia del Nord aveva dunque scisso l’Italia, e la Via Amerina rappresentava un valido corridoio di collegamento, difeso strenuamente dai Bizantini per 200 anni c.a.. Lo stesso popolo aveva dotato la Via di fortificazioni e castelli in punti strategici di collegamento tra le varie città. Non sembrerebbe oggi vero, nel percorrere la strada Amerina, supporre quanta storia vi sia passata sopra. Ma il Cavo degli Zucchi, l’Isola Conversina e la Torre dello Stroppa, la sanno davvero lunga. E questo per citare un piccolo esempio a campione, uno scampolo di un chilometro e mezzo circa, di una lunga ed importante arteria stradale di collegamento del centro Italia che compartecipò alla nostra crescita sociale, economica e culturale. Ma sopra tutto, un unico e gran rammarico ci turba: tanti episodi e riferimenti storici del luogo sono svaniti, sostituiti soltanto da sterili toponimi che hanno perduto nel nulla il loro significato, così come è stato disperso nel nulla il patrimonio archeologico da un popolo, cattivo conservatore, capace soltanto di “prendere”, di “vendere”, di “asportare” e “danneggiare”, senza lasciare ai posteri monumenti completi, suppellettili e ricordare le gesta “dell’uomo”, capaci di far ricostruire la storia, unica scienza in grado di permettere di riappropriarsi delle “radici”, per mantenere un profondo rapporto d’amore con la terra madre e farci sentire fieri di essere suoi figli.

L’escursione odierna.

più che un’escursione è sembrata piuttosto una passeggiatina domenicale, tanto che alcuni avevano indossato l’abitino e le scarpette delle feste. Eppure il Ponte Falisco sul Fosso dei Tre Ponti non è cosa archeologica comune. Così pure non è tanto comune passeggiare su una Via basolata, fiancheggiata da cotanta architettura o monumenti o reperti, giunti intatti fino ai nostri giorni, tombe, templi, tabernae, tophet, colombari.

C’è poi stato l’intervallo gastronomico presso la Braceria della Vecchia Quercia, che ha fatto discutere, in particolare, in fatto di carni alla brace, si è disquisito sulla cottura degli spiedini che deve essere senz’altro completa ed intera, che deve partire da fuori, che deve roteare e deve essere lenta, ma soprattutto deve cuocere. Per fortuna il nostro Emilio, quale digestivo di carni malcotte, ci ha passato un intervento rilassante, tre belle poesie in tema. Ti giungano Emy, tutti i grazie del cignale (non potevo dire le grazie del …). C’è poi stata, dopo la pausa pranzo, un’escursione all’Isola Conversina ed alla Torre dello Stroppa. Peraltro molto belle, poste su un punto strategico della Via Amerina, presumibilmente erette su una “Mansio” romana, fortificata dai Bizantini nel primo medioevo, quando la Via rappresentava il “corridoio bizantino” tra i possedimenti del nord Italia (lagune Venete – Esarcato di Ravenna) e quelli del Centro Italia. Sulla “Mansio” venne costruito, a baluardo, un castello, con torre di guardia, che, contr’apposti ad altre analoghe emergenze? presenti su un’altura a fianco, controllavano il transito sulla Via Amerina nel punto in cui un ponte, ora diruto, permetteva il guado sul Fosso dell’Isola. Della Torre nulla sappiamo, tranne che un tal Stroppa ne fu il progettista od il finanziatore o signore del Castello (occorre consultare gli archivi Vaticani o dell’Abbazia di Farfa per verificare queste mie supposizioni). Mentre la dizione “Isola Conversina” …. Potrebbe dire che una volta il castello, su posto, fu abitato da monache “converse”, mentre il termine isola deriva dalla conformazione isolata del colle, in mezzo a fossi d’acqua.

Ma il termine “converso”, significa anche “opposto” e chi ci dice che il toponimo non ricordi un colle (isola) opposto all’altro, cioè “converso” ad un altro, come in effetti ci si presenta la conformazione del terreno? Cioè due postazioni militari opposte e nemiche, una bizantina ed una Longobarda che si annullano?

Vani 14/02/10


amerina 2 earth.jpg Il Percorso amerina altimetria.jpg L' altimetria 1_PONTE SUL RIO MAGGIORE.jpg Ponte sul Rio Maggiore
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DSCF0390.jpg Torre Conversina_01 SCORCIO - VIA AMERINA.jpg Scorcio - Via Amerina Torre Conversina e Via Amerina_010.jpg Torre Conversina_010
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