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BOMARZO – VILLAGGIO PREISTORICO – SELVA DI MALANO

L’odierno Trek attraversa uno dei più interessanti territori archeologici e naturalistici dell’Alto Lazio. I vari aspetti del luogo, pur debitamente compendiati, forniranno soltanto una vaga idea di ciò che realmente offre il sentiero al camminatore, ora entro il fitto e malfamato bosco, ora incontro ad inedite vestigia preistoriche, etrusche e medievali. E’ questo il territorio della famigerata Selva di Malano “… selvaggia, ed aspra e forte …”, una volta fiera e maestosa, ormai tristemente ridotta ad una striscia di ceduo mediterraneo di Km. 6,5 c.a. di lunghezza, per Km. 1,500 di larghezza (massima). La selva, in apparenza impenetrabile quanto “dir si voglia”, è stata aperta almeno un paio di volte, dalle Guide “animali” del Gruppo e con relativa facilità. Ma ai suoi tempi migliori era veramente vasta ed impenetrabile, ricca di alberi cedui di alto fusto, ma i proprietari dei territori circostanti, incontrastati, l’hanno disboscata indiscriminatamente, a favore della coltivazione della nocchia, i cui effluvi impediscono un riaffermarsi della flora mediterranea.

Ma ciò che rende magica ed unica la zona è la disseminazione, entro le valli, di “massi erratici di granito”, che i ghiacciai in scioglimento, con il loro lento movimento, hanno reciso dai picchi di alture “Cimine e precimine” trasportato e depositato a valle. Questo accadeva almeno quarantamila anni fa. Sono questi, enormi megaliti, di forma cubica o parallelepipeda, di dimensione pressoché simile, ma tutti molto suggestivi, così ricoperti di muschi ed edere (clematis vitalba) ed ovunque si trovano, disseminati. Il loro aspetto deve aver suscitato, nell’immaginario collettivo dell’uomo preistorico ed etrusco, pensieri di sacralità, di divino e di conquista, la proiezione dell’uomo nello spazio! Ed è per questo che sono stati abilmente scolpiti, associati o riferiti ad un particolare mito o divinità di prima grandezza, a noi del tutto sconosciuti ma supponibili, Tinia, Uni, Menerva – la triade etrusca? Od a divinità ctonie.

Alcuni di loro conservano, ancora intatti, perfetti gradini per ascendere ai piani superiori, ove sono ricavati spazi per alloggiamenti totemici e per bracieri, ove raccogliere il fuoco, per eseguire riti religiosi, fino al sacrificio umano o di animali. E salendovi su, ad altezze che consentono il dominio fisico delle valli circostanti, con un minimo di concentrazione, si possono rivivere le stesse sensazioni che provò l’uomo preistorico ed etrusco.

Altri massi, con il tempo, hanno perduto elementi architettonici significativi ma, sopra essi, si legge, inconfondibile e chiaro, l’intervento della mano dell’uomo e si percepisce inequivocabilmente il senso di sacralità che sprigionano. L’uomo medievale ha “trasportato” il loro nome oralmente, fino ai nostri giorni: il sasso del predicatore, l’ara della regina, la tomba del re e della regina…! Ma c’è chi ritiene in alcuni casi, ove la presenza umana sia stata sempre costante, che questi megaliti portino il loro nome originario, direttamente dal tempo preistorico, associato alla funzione per cui vennero creati.

Passando poi a reperti più recenti, sembra quasi di toccare con mano i tempi della Chiesa di San Nicolao, opera del 1200, certamente ricostruita su precedenti impianti etruschi e paleocristiani. Sui ruderi della cripta aleggia ancora lo stemma della famiglia Orsini, il cui più noto esponente locale, il conte Vicino Orsini, nel 1540 c.a., fece realizzare il “Bosco sacro” di Bomarzo con le sue meravigliose statue gigantesche, meglio conosciuto con il nome (piuttosto spregiativo!) di “Parco dei Mostri di Bomarzo”.

Alquanto controversa appare la dedica di quel parco: “alla bellissima moglie del conte, Giulia, dei Farnese del ramo di Latera” od “all’opera letteraria dell’Ariosto l’Orlando Furioso” oppure “alla profonda e nota passione del Conte per l’astrologia”. Chissà? La diatriba è ancora aperta, e c’è ancora chi sta tentando di trovare una più mediata e plausibile chiave di lettura.

Ma non si può fare a meno di rilevare che il villaggio trogloditico di Colle Lungo, sull’opposto versante, si riflette pari pari nel “Bosco Sacro” di Bomarzo, che le caverne, ricavate sul banco tufaceo, sono inglobate entro mura castellane che le cingono. Mentre poco più in alto si ergeva l’interessante maniero, ora diruto, di incerta epoca di costruzione e committenza, ma che fa eco al castello degli Orsini di Bomarzo. La storia locale tramanda che nel 1280 c.a., il castello di Colle Lungo subì una serie di scorrerie da parte degli abitanti di Vitorchiano. Fu, nel 1290 c.a., proprietà della Signoria di Viterbo, confluì poi, nel 1359, nell’immenso Patrimonio di S.Pietro e, a seguire, entrò a far parte della dote di Vannozza degli Orsini.

Tornando al “Parco dei mostri”, non si può negare che l’ispirazione di una tal realizzazione possa essere derivata dall’influenza positiva, suscitata nella mente degli artisti locali, dalla vista dei massi erratici, forse così distribuiti e posti dalla natura, a caso, in un contesto scenografico ordinato e perfetto nella suggestiva selva che poi diverrà il “Bosco sacro”.

Alcuni megaliti poi, per la loro forma o sotto l’azione corrosiva del vento, della pioggia o dello scivolamento verso il piano, visti da angolature diverse, si presentavano, presumibilmente, già con aspetto animalesco, o con sembianze umane o riassumenti tratti architettonici o di cose. Sicuramente in alcuni casi, un solo lieve lavoro di sgrossatura, è stato sufficiente a dare una mano alla immensa creatività della natura. In altri casi forse si saranno resi necessari interventi più impegnativi … ma, si sa, la materia già contiene in sé, abbozzate, od al suo interno, le figure od immagini che poi vengono realizzate dagli scalpellini! Solo così si può giustificare in Bomarzo l’associazione, in un solo parco, di un insieme di figure gigantesche così eterogenee tra loro, che solo il caso ed il genio del suo ideatore può aver riunito, giacché ancora nessuno è stato in grado di fornirne un plausibile motivo. Solo così potremo infine comprendere la presenza nel Bosco Sacro di enigmatiche figure, inquietanti: un’enorme e poco rassicurante testa di gorgone (etrusca) che “inghiotte” i visitatori, spacciata come bocca d’inferno, un dragone che colpisce un leone, un’enorme testuggine marina (con la statua di una Nike o vittoria alata sul sommo del carapace?), un mitologico pegaso, un elefante, un poseidon, un mascherone atzeco a bocca spalancata con panchine poste al suo interno (realizzato nel 1540?), un tritone, un gigante in combattimento (l’Orlando?) ed altro ancora, tutti elementi posti come pezzi di un grande presepe pagano, scalato nel tempo. quasi ad esorcizzare qualcosa o qualcuno, ai più attenti visitatori questi particolari non sfuggono!

C’è poi, nei pressi, sull’omonimo colle, la chiesa di S. Maria di Monte Casoli, dell’undicesimo o dodicesimo secolo. Ma precedentemente non doveva essere così come oggi si presenta. Innanzi tutto, intorno al perimetro, si notano tombe etrusche, riadattate con i soliti noti “colombari etrusco/romani”. Entro la chiesa, dietro l’altare, un cunicolo porta ad una cavità rupestre ove sono tre absidi del vecchio impianto cultuale. Come non pensare quindi ad un riutilizzo di un tempio etrusco! E lì è innegabile, la presenza etrusca si respira tutt’intorno ed ovunque.

La chiesa, di architettura molto lineare, fiera del suo bel campaniletto a vela e dei suoi graziosi affreschi, dispensa serenità tutt’intorno. Ma dal momento che ancora in essa si officia la messa almeno una volta l’anno (sembra a Pasqua od al suo lunedì), stranamente si nota l’assenza della campana in bronzo. Ma questa, si dice …, che, per sicurezza, è ben conservata in Bomarzo e che venga portata dai fedeli in processione e riposta sul suo campanile soltanto la mattina stessa in cui si celebra la messa pasquale e poi ritrasferita, per prudenza, su in Paese, forse dopo che si è sparsa la notizia che nei paraggi si aggirano seguaci del … Tiburzi!

VANI' 03/11/08

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    BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.

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