La tenuta di Roccarespampani (*) prende il nome dalla Rocca Medioevale situata all’estremo confine meridionale, alla confluenza del torrente Catenaccio con il fiume Traponzo. Il paesaggio che si presenta agli occhi del turista è abbastanza vario; il territorio in esame è costituito da uno stupendo altopiano interrotto da numerose incisioni più o meno profonde; i boschi, che originariamente ricoprivano pressoché l’intera superficie della tenuta, sono per lo più destinati al taglio periodico e si compongono di varie essenze forestali, tra le quali emergono il Cerro (90%) e la Rovere (5%), seguite dall’Olmo, l’Ornello, la Robinia e tutte le altre tipiche varietà della macchia mediterranea. Questi boschi, utilizzati per l’allevamento del bestiame brado, s’intercalano ai seminativi, formando larghi pascoli di rara bellezza. L’altopiano è intersecato da vallette, spalle, falsipiani, inciso a ventaglio da cinque corsi d’acqua principali e relativi affluenti, che vanno tutti a confluire nel Traponzo e tramite questo nel Marta, emissario del lago di Bolsena. Questo altopiano continua verso oriente e verso il mare con le selvagge foreste della Banditella, attualmente Poligono Militare e un tempo parte integrante della Tenuta di Roccarespampani. Questo vasto territorio di 2598.70.08 ha, nel 1456 era possedimento del Pio Istituto di S.Spirito ed OO.RR. di Roma, poi passato, in proprietà al Comune di Monte Romano, che, dal 1/10/1980, gestisce a conduzione diretta l’Azienda Agricola che si trova al proprio interno, avviando un ampio progetto di sviluppo che ha portato al potenziamento e alla trasformazione delle strutture presenti, al fine d’incrementare economicamente le produzioni agricole e quelle basate sull’allevamento bovino ed equino maremmano, che sono il vero vanto dell’azienda.
Il nome del maniero deriva da quello di una precedente rocca, la Rocca Vecchia, eretta a poca distanza da questo sito.
Come si apprende da una targa posta sulle pareti del castello, la sua costruzione fu avviata, nel 1607, da Ottavio Tassoni d’Este, Precettore del Santo Spirito, che aveva commissionato tali lavori all’architetto Canio (o Ascanio) Antonietti. L’idea iniziale era ambiziosa: un palazzo/fattoria, abbastanza dignitoso per ospitare il governatore e il suo seguito di funzionari, ma in grado anche di accogliere le famiglie contadine qui operanti; un nucleo che, quindi, doveva mantenere una propria autonomia. Negli anni successivi il castello verrà tenuto, con maggiore autorità, da un nuovo castellano, fra Cirillo Zabaldani, che uno storico locale del XIX secolo (Campanari), descrive «uomo insolente e di mala condizione e misleale […] spergiuro e traditore»; si racconta che fu lui a munire la Rocca Nuova con «gagliarde fortificazioni e spingarde gettate in ferro […]»; questo antico fucile da posa, che secondo lo storico doveva essere ancora presente all’interno del fortilizio nel 1854, era però a quel tempo «monco della sua culatta, che tagliata da quello strumento da guerra passò a fare ufficio di mortaro ne’ dì di festa». Ben presto, la storia dell’edificazione del castello si intreccerà con quella del nascente paese di Monte Romano: fra Cirillo Zabaldani, ne farà sospendere i lavori per dedicarsi maggiormente alla costruzione della Chiesa dell’Addolorata sita nel piccolo borgo. Avanzava seri dubbi sulla validità del progetto, voluto dalla Chiesa Romana, di avviare una riorganizzazione agricola del territorio tutta incentrata sul nuovo castello che ormai risultava tagliato fuori dalle importanti vie di traffico, e ad esso veniva favorito quel piccolo nucleo urbano che nel frattempo stava nascendo nel sito dell’attuale Monte Romano; qui, inoltre, c’era l’osteria, c’erano i campi di lavoro; qui la gente lavorava e viveva, e non aveva alcun motivo di spostarsi a Respampani. Così, venute meno le motivazioni che avevano sostenuto l’edificazione del maniero, i lavori vennero interrotti a metà del XVII secolo, lasciando l’immobile in quello stato incompleto che ancora oggi conserva.
Nonostante manchi uno studio completo sull’insediamento, si può osservare che questo sorse su un impianto antico, forse etrusco o romano - come denuncerebbero le strutture preesistenti in tufo su cui poggia - e accanto ad una Pieve antica, che, oggi fuori dalle mura, si erge su una pianta rettangolare, di cui restano alcuni lacerti del muro perimetrale e della calotta absidale; su questa sono presenti tracce di colore che testimonierebbero la presenza di antichi affreschi ormai perduti. Difficile è arrivare ad una datazione precisa dell’edificio, mai ricordato dai documenti, che tuttavia potrebbe risalire al periodo paleocristiano, tenendo conto che la tecnica costruttiva dell’abside si avvicina molto a quella degli edifici di culto medio-orientali del VI secolo d.C. L’insediamento presenta un andamento a «schema focalizzato», una delle forme più antiche di organizzazione del territorio, che corrisponde generalmente ad insediamenti di forma piramidale disposti intorno ad un fulcro, che qui è rappresentato dalla Rocca; è intorno a questa che verranno costruiti altri edifici, alcuni dei quali possono essere ancora oggi apprezzati all’interno del circuito murario, come ad esempio la Chiesa di San Giovanni, di cui rimane un arco a sesto acuto, parte dei muri perimetrali e la fronte del campanile, con la cella campanaria delineata da una cornice aggettante e illuminata da monofore accoppiate. La costruzione rientra tipologicamente tra quelle con scansione interna ad arconi di origine cluniacense, diffusa in Italia dagli Ordini Mendicanti, e riproposta in numerosi edifici religiosi presenti sul territorio di Tuscania, come nelle chiese dirute di S. Pantaleo e San Potente poste lungo il percorso della Clodia, e in San Silvestro (XII-XIV secolo). Tuttora rimangono delle testimonianze più o meno conservate dell’antico abitato, quali delle strutture a forma di fiasco con imboccatura quadrata o circolare scavate nel tufo ed internamente intonacate, identificabili come pozzi o cisterne, e granai, e un forno con copertura a cupola, rivestita da mattoncini, collocato vicino a quella che doveva essere un’abitazione.
Le più antiche notizie che riguardano questo insediamento risalgono all’XI secolo quando nel Regesto di Farfa si fa riferimento al nome della famiglia proprietaria dell’area, gli Spampani di Tuscania. Nel 1170 rientra nei possedimenti di Guitto di Offreduccio, signore di Vetralla, che in quell’anno lo donò alla città di Viterbo. Più tardi verrà ceduta ai due nobili di Tolfa, Guido e Nicola, contro i quali, nel 1198, si scaglia papa Innocenzo III (1198-1216) con l’intenzione di togliere loro il castello, dato lo scorretto comportamento che questi tennero nei confronti dei pellegrini che transitavano lungo la via Clodia diretti a Roma. Per non perdere la rocca Guido e Nicola fecero pieno atto di sottomissione al pontefice e la fortezza rimase ancora nelle loro mani fino al 1211 quando, in occasione della guerra tra Tolfa e Viterbo, Grezzo signore di Tolfa, si rifugia entro le sue mura con i figli ed i parenti di Pietro, figlio del sopraccitato Nicola e se ne impossessa. In seguito la Rocca Respampani viene implicata nelle lotte tra i Cocco ed i Gatti, due famiglie di Viterbo che causeranno lutti e distruzioni nel corso del Duecento in molte zone della Tuscia. Il castello viene conquistato nel 1221 da Nicola Cocco per punire Pietro Cola, allora Signore della Rocca, che appoggiava apertamente la fazione dei Gatti. Pietro venne fatto prigioniero e gettato in un pozzo situato dentro le mura.
L’anno dopo i Gatti assediarono a loro volta la Rocca; ma i Cocco, aiutati dal Senato Romano, li costrinsero ad allontanarsi. Poco dopo il castello ritorna nelle mani di Pietro Cola che, nel frattempo, si era rifugiato nella vicina Tuscania. Questi lo perse definitivamente nel 1228, quando i Romani riconquistarono il sito.
Nel 1234 papa Gregorio IX (1227-1241) e Federico II, allora alleati, tentarono invano di strappare ai Romani la roccaforte.
Nel 1254 Respampani entra a far parte dei possedimenti dei Prefetti di Roma, i Di Vico, ai quali inutilmente, per circa un secolo, sia l’autorità pontificia che il Comune di Roma tentarono di sottrargliela. In proposito si ricordi come ancora nel 1374 Cola di Rienzo chiese la restituzione del Castello a Giovanni Di Vico, che saldamente lo deteneva nonostante la sconfitta subita nel 1345 ad opera di Pietro Farnese.
Nel 1377 papa Gregorio XI (1371-1378) verrà designato quale arbitro nella annosa contesa tra i Di Vico (*) ed il Senato Romano per il possesso di Rocca Respampani, di Civitavecchia e di altri castelli della Tuscia. La perdita della roccaforte da parte dei Di Vico coincise con il tramonto del loro potere, tenacemente perseguito da papa Eugenio IV (1431-1447). Così nel 1434 il castello viene concesso, unitamente alla carica prefettizia, a Francesco Sforza per passare nel 1442 al cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota. Fu venduto nel 1456 da papa Callisto III (1455- 1458) all’Ospedale di Santo Spirito in Saxia; ritorna ben presto alla Camera Apostolica rimanendovi fino a quando nel 1471 entrò definitivamente in possesso al Santo Spirito per volere di papa Sisto IV (1471-1484). Il susseguirsi delle guerre portò alla progressiva decadenza della Rocca Respampani accentuata, probabilmente, anche dal terremoto del 1349 e dall’imperversare della malaria. Nel 1356 si verifica il crollo della chiesa del castello, già danneggiata dalle distruzioni del 1345. Non deve pertanto stupire se il castello a quel tempo viene definito «dirutum» dalle fonti. Il declino fisico del maniero, ormai quasi spopolato, continua, tanto che nel 1587 Giovan Battista Ruini, preposto generale dell’Ospedale di Santo Spirito, vi realizza alcuni restauri. In questo periodo il castello era sorvegliato da un castellano e da due persone che sovrintendevano le attività agricole e di allevamento del bestiame, specie suini. La tenuta produceva soprattutto grano e legname, ma vi era anche una ottima vigna. Dalle fonti sappiamo che dal bosco forte e selvaggio di Respampani, più di 30 mila tronchi di antiche querce servirono per la strada ferrata da Napoli a Roma costruita sotto il pontificato di Pio IX. Ma nonostante la produttività della tenuta, la sorte del castello era segnata; agli inizi del Seicento si dà inizio alla costruzione di un nuovo castello, la Rocca Nuova.
Questo ponte venne chiamato anche Ponte della Pietà, perché nella sua struttura era presente un “altare” (foto n. 28/b), oggi ancora in parte conservato, al cui interno, in origine, doveva forse esistere una qualche immagine sacra riproducente una Pietà. Una leggenda vuole che venne costruito in una sola notte sul fiume Traponzo tra il 1661 e il 1665.
(*) Famiglia Di Vico: famiglia germanica stabilitasi a Roma dal X secolo. I cui membri hanno spesso ricoperto la carica di Prefetti di Roma (1200 – 1500).Il loro cognome deriva dal fatto che questa famiglia si stanziò attorno al Lago di Vico, ove ancora sono presenti ruderi del loro castello.
(**) FRANCESCO DI VICO (*): Prefetto. Figlio di Giovanni 3°, la sua vita non poteva non essere orientata da tanto padre. Francesco crebbe e respirò l’aria della fazioni, delle lotte baronali, delle battaglie politiche. Venne spesso dato in ostaggio e, proprio in questa veste e su ordine del tribuno, lo troviamo nelle mani di Cola di Rienzo a garanzia della quiete in Roma. Nel 1346 ebbe il suo battesimo di fuoco partecipando in armi ad una campagna contro i baroni romani ribellatisi a Cola: al momento del pranzo venne disarmato ed imprigionato con il padre. L’anno seguente venne dato nuovamente in ostaggio a Cola per garantirgli la restituzione da parte del padre Giovanni del Castello di Respampani. Nel 1355 è in ostaggio dell’Albornoz per garantirgli la restituzione delle rocche di cui suo padre si era insignorito. L’Albornoz valorizzò il giovane Francesco, nominandolo suo capitano e con il compito di mantenere la pace nelle città della Marca. Nel 1370 Urbano 5° gli proibì di duellare con Francesco Orsini in una disputa nata per i soliti rancori esistenti tra baroni romani. Nel 1375 è signore di Viterbo e due anni dopo, ribellatosi, sobillò il popolo romano al fine di creare sconcerto e malumore. Papa Gregorio 11° stipulò con Francesco un onorevole accordo di pace. Nel 1387 fu ucciso in un assalto armato, alla città di Viterbo, delle truppe del Cardinale Tommaso Orsini. Nel corso della Battaglia Francesco venne riconosciuto da un certo Palino Tignosi, il quale lo inseguì lo trafisse con una lancia e poi lo gettò da un profferlo. Si racconta che la vendetta di Giovanni di Vico, bastardo di Francesco, sia stata orribile: riuscito ad avere nelle sue mani l’uccisore del padre, lo condusse nella Rocca di Respampani, dove lo fece ingrassare ben bene, nutrendolo lautamente. Quando gli parve a “tiro” lo fece condurre sulla piazza della Rocca di Viterbo, tagliò il suo corpo a piccoli pezzi, ancora vivo e sotto i propri occhi, venne dato in pasto a certi mastini tenuti a digiuno per più giorni. La moglie, madonna Perna, gli partorì una figlia Giacoma, che venne tenuta a lungo tempo in ostaggio da Urbano 6°.
La Rocca Respampani Vecchia è sicuramente una delle più singolari testimonianze dell'area; esempio di un insediamento dell’XI secolo, costruito su uno sperone tufaceo e posto a controllo di una antica strada, la Clodia: di questa arteria, che ha svolto una rilevante funzione di collegamento tra Roma e Saturnia fin tutto l’Alto Medioevo, se ne conservano alcuni tratti ancora oggi all’interno della tenuta.
Nonostante manchi uno studio completo sull’insediamento, si può osservare che questo sorse su un impianto antico, forse etrusco o romano - come denuncerebbero le strutture preesistenti in tufo su cui poggia - e accanto ad una Pieve antica, che, oggi fuori dalle mura, si erge su una pianta rettangolare, di cui restano alcuni lacerti del muro perimetrale e della calotta absidale; su questa sono presenti tracce di colore che testimonierebbero la presenza di antichi affreschi ormai perduti. Difficile è arrivare ad una datazione precisa dell’edificio, mai ricordato dai documenti, che tuttavia potrebbe risalire al periodo paleocristiano, tenendo conto che la tecnica costruttiva dell’abside si avvicina molto a quella degli edifici di culto medio-orientali del VI secolo d.C.
L’insediamento presenta un andamento a «schema focalizzato», una delle forme più antiche di organizzazione del territorio, che corrisponde generalmente ad insediamenti di forma piramidale disposti intorno ad un fulcro, che qui è rappresentato dalla Rocca; è intorno a questa che verranno costruiti altri edifici, alcuni dei quali possono essere ancora oggi apprezzati all’interno del circuito murario, come ad esempio la Chiesa di San Giovanni, di cui rimane un arco a sesto acuto, parte dei muri perimetrali e la fronte del campanile, con la cella campanaria delineata da una cornice aggettante e illuminata da monofore accoppiate. La costruzione rientra tipologicamente tra quelle con scansione interna ad arconi di origine cluniacense, diffusa in Italia dagli Ordini Mendicanti, e riproposta in numerosi edifici religiosi presenti sul territorio di Tuscania, come nelle chiese dirute di S. Pantaleo e San Potente poste lungo il percorso della Clodia, e in San Silvestro (XII-XIV secolo).
Tuttora rimangono delle testimonianze più o meno conservate dell’antico abitato, quali le strutture a forma di fiasco con imboccatura quadrata o circolare scavate nel tufo ed internamente intonacate, identificabili come pozzi o cisterne, e granai, e un forno con copertura a cupola, rivestito da mattoncini, collocato vicino a quella che doveva essere un’abitazione.
A poca distanza da questa rocca ormai in decadenza, verrà eretto dai Precettori del Pio Istituto del Santo Spirito in Sassia di Roma un nuovo castello, Castello di Respampani Nuovo, vero gioiello di architettura rurale seicentesca, che per la sua gravità si impone nel paesaggio circostante.
Come si apprende da una targa posta sulle pareti del castello, la sua costruzione fu avviata, nel 1607, da Ottavio Tassoni d’Este, Precettore del Santo Spirito, che aveva commissionato tali lavori all’architetto Canio (o Ascanio) Antonietti. L’idea iniziale era ambiziosa: un palazzo/fattoria, abbastanza dignitoso per ospitare il governatore e il suo seguito di funzionari, ma in grado anche di accogliere le famiglie contadine qui operanti; un nucleo che, quindi, doveva mantenere una propria autonomia.
Negli anni successivi il castello verrà tenuto, con maggiore autorità, da un nuovo castellano, fra Cirillo Zabaldani.
Ben presto, la storia dell’edificazione del castello si intreccerà con quella del nascente paese di Monte Romano: fra Cirillo Zabaldani, ne farà sospendere i lavori per dedicarsi maggiormente alla costruzione della Chiesa dell’Addolorata sita nel piccolo borgo. Avanzava seri dubbi sulla validità del progetto, voluto dalla Chiesa Romana, di avviare una riorganizzazione agricola del territorio tutta incentrata sul nuovo castello che ormai risultava tagliato fuori dalle importanti vie di traffico, e ad esso veniva favorito quel piccolo nucleo urbano che nel frattempo stava nascendo nel sito dell’attuale Monte Romano; qui, inoltre, c’era l’osteria, c’erano i campi di lavoro; qui la gente lavorava e viveva, e non aveva alcun motivo di spostarsi a Respampani. Così, venute meno le motivazioni che avevano sostenuto l’edificazione del maniero, i lavori vennero interrotti a metà del XVII secolo, lasciando l’immobile in quello stato incompleto che ancora oggi conserva.
Con questo nome vengono individuate un gruppo di tombe etrusche scavate nella rupe tufacea, nelle vicinanze di Rocca Respampani. Di queste tombe, una sola è ancora pressoché integra mentre, le altre tre sono state rimaneggiate a seguito della loro trasformazione in stalle per animali. In origine queste tombe dovevano essere tutte del tipo “tomba a camera con loculi”; si tratta di tombe con ampia camera rettangolare e copertura a botte, diffuse tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale. Il sito vanta una (*) galleria artificiale di circa 50 metri di lunghezza, che la rendono forse la grotta scavata da uomini più lunga del Lazio.
In questo capitolo ci si propone di scrivere la breve storia di un monumento medievale situato ai confini del territorio tarquiniese, precisamente in quello di Monteromano.
La storia di questo castello, perché di un castello si tratta, non ha particolari legami con quella di Corneto; tuttavia abbiamo ritenuto opportuno allargare un poco lo sguardo verso l’esterno per cercare di comprendere meglio, alla fine, certi avvenimenti cornetani.
Cominciamo intanto a precisare ciò di cui vogliamo parlare. Abbiamo detto che si tratta di un castello, il suo nome è Rocca Respampani e si trova sulla provinciale che collega Tuscania con la Cassia nei pressi di Vetralla. Sia pure con molte riserve si possono ricostruire le vicende del castello e dei personaggi che ne hanno avuto a che fare. Si sa da documenti del Regesto farfense che intorno alla seconda metà dell’XI secolo Pietro da Tuscania o da Respampani si era trasferito a Farfa. Questa notizia senza permetterci di asserire che Pietro fosse signore di Respampani ci autorizza a fare due considerazioni: la prima che sicuramente proveniva da Respampani, la seconda, conseguenza della prima, che Respampani esisteva. Quindi la fondazione del castello è databile anteriomente alla seconda metà dell’XI secolo.
Di Pietro si sa’ che ebbe 3 figli: Azone, Gerardo e Giovanni. Azone a sua volta ebbe un figlio Leone. Gerardo tre Raniero, Gerardo e Grimaldo.
Nel 1170 metà del territorio di Respampani fu donato al comune di Viterbo dal conte di Vetralla Guitto II: il documento si conserva nell’archivio storico del comune di Viterbo. Nel 1198 Papa Innocenzo III compì un viaggio nella Tuscia con tappe, tra l’altro, a Montefiascone, Corneto e Vetralla. In questa contrada il Papa si convinse della necessità di riportare l’ordine turbato da continue scorrerie di ladroni che avevano come base Rocca Respampani.
A questo proposito ascoltiamo la viva voce del cronista: “Due nobili vetrallesidi nome Guido (Guitto) e Nicola che spadroneggiavano, depredavano e uccidevano passeggeri e pellegrini che andavano a Roma o ritornavano dalla città stessa. Il Papa non potendo ciò tollerare, ordinò ai Rettori del Patrimonio che, avanzando nella Tuscia, avessero invitato i detto signori a smettere e nel caso si fossero rifiutati a farlo, ve li avessero costretti a ogni costo. Così avvenne e le milizie papali assediarono i due ribelli nella Rocca Respampani dove si erano asserragliati e fortificati e dove resistettero a lungo e nonostante che gli assedianti devastassero anche nei dintorni le loro messi, tagliassero alberi e confiscassero i loro bestiami. Solo si arresero quando videro che poco lontano dalla Rocca le soldatesche, dopo aver accumulato legname pietre e calce, avevano incominciato a costruire una torre dalla quale avrebbero potuto dominare e battere la Rocca stessa”.
Nel 1200 Guido (Guitto) e Nicola, con l’aiuto dei viterbesi, riuscirono a tornare padroni del castello. Undici anni dopo ci furono scontri armati tra i viterbesi e i tolfetani, questi ultimi si arresero e giurarono vassalleria ai primi. Come conseguenza di questo atto un loro signore di nome Ghezzo con figli e generi e con i parenti di Pietro di Nicola si rifugiò a Respampani presso i signori del castello, che oltre ad essere suoi parenti erano anche compadroni di Tolfa. Da precisare che gli scontri tra Tolfetani e Viterbesi erano conseguenza delle lotte tra Corneto e Viterbo, in quanto Tolfa dipendeva da Corneto.
Nel 1221 signore della Rocca è Pietro di Nicola. In questo stesso anno Pietro si trovò coinvolto nelle lotte tra le due fazioni viterbesi dei Cocco e dei Gatti ed ecco cosa gli capitò:“.... la notte del giovedì del Brancaiolo cioè carnasciale (18 Febbraio 1221), Nicola di Giovanni Cocco, el Tignoso, e Ranuccio con altri viterbesi, presero Rispampani, e Pietro di Nicola signore di detto, lo posero in un pozzo acciò vi morisse. Un amico di detto Pietro, chiamato Leonarlo di Michelotto con Palamonte suo compagno, di notte andarno a Rispampani, e cavarno le ripe presso il pozzo con certi coltellacci, e arrivando al pozzo cavorno fora Pietro, e lo menorno a Toscanella sano e salvo”.
Trascorsi alcuni anni in tranquillità, per lo meno da quanto ci è dato sapere, nel 1228 si presentano i Romani ad assediare la Rocca. Le ragioni vanno ricercate nelle continue lotte che essi conducevano contro i Viterbesi. ento i Romani assediarono direttamente Viterbo, poi non riuscendo ad espugnarlo concentrarono le loro energie nell’assedio di Respampani. Qui riuscirono nel loro intento, sia pure grazie ad uno stratagemma. Convinsero con delle promesse i “massari” del castello a farsi consegnare Pietro di Nicola insieme alla Rocca. Il cronista aggiunge che si guardarono bene di mantener le loro promesse.
Dopo pochi anni ecco comparire all’orizzonte Federico II. Era stato chiamato dal Papa stesso per andare contro i Romani in favore dei Viterbesi. Giunto a Viterbo pose assedio alla Rocca e “fé cascar di molte ripe”, dopodiché partì per la Sicilia, lasciando sul posto insieme ai viterbesi un suo capitano, Guglielmo de Fogliano de Lombardia, che “de continuo faciva guerra a Rispampani”,
Nel 1233, precisamente il 20 Luglio, venne stipulata una pace tra Romani e Viterbesi. Fu una tregua molto breve, dopo un solo anno venne rotta dai Romani. Il Cardinale Raniero Capocci impegnò battaglia presso Respampani coi Romani e ne uscì vittorioso. Nel 1235 viene ristabilita la pace tra il Papa ed i Romani e sulla base di questa Respampani resta ai Romani, tuttavia nel 1252 viene emessa una sentenza da parte del cappellano pontificio Ubaldo per cui Respampani è restituita a Pietro di Nicola. Inutili risultano le proteste dei viterbesi, Innocenzo IV con una lettera del 22 maggio 1256 ordinò che la sentenza fosse rispettata. Le notizie a questo punto risultano scarse . Si sa che nel 1266 i Romani tornano ad essere padroni di Respampani.
Una quarantina di anni dopo il comune di Roma stabilì che la rendita di Respampani fosse assegnata allo Studium (Università) di Roma che era stata fondata da Bonifacio VIII. Verso la metà del 1300 Giovanni di Vico occupa molti castelli e città della zona sottraendoli alla Chiesa. Tra questi castelli e città troviamo Rocca Respampani e Corneto. In seguito Cola di Rienzo ottenne la restituzione della Rocca ai Romani.
A tal proposito nella sua biografia si narra di un sogno premonitore avuto dal tribuno riguardo a tale restituzione. Si racconta che Cola sognò di un frate vestito di bianco, un certo frate Acuto di Ascisci (assisi), che veniva a restituire la Rocca tolta ai Romani dal prefetto di Vico. Nel 1355 è ancora ripresa dai Vico che vi rimangono sino al 1431 anno in cui arriva Francesco Sforza come vicario di Papa Eugenio IV. Poi lo Sforza è dichiarato ribelle e la Rocca torna in diretto possesso del Papa Eugenio IV che la concede a vita al cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota.. Dopo alcuni altri cambi di padrone nel 1472 Sisto IV della Rovere la assegnò in via definitiva all’ospedale di Santo Spirito, possesso che si è mantenuto sino ad oggi.
L’antica Rocca subì un restauro nel 1587. Nel 1608 ad opera del precettore Ottavio Tassoni ne venne costruita una nuova tuttora esistente. Dopo aver esaminato, sia pure per sommi capi, la storia di Rocca Respampani è doveroso fare alcune osservazioni e porsi alcuni quesiti. E’ evidente che il possesso della Rocca è stato sempre giudicato molto importante dai potenti del medioevo che si sono trovati ad esercitare la loro influenza nella zona. Ora se è ovvio presupporre che ogni roccaforte debba godere di una certa importanza strategica dato che viene costruita proprio per questo motivo, nel nostro caso le lotte sono state tali e tante da far sensatamente pensare che l’importanza sia stata veramente grande.
Attualmente la Rocca non è toccata direttamente da alcuna strada: la stessa provinciale che, come dicevamo, collega Tuscania con la Cassia passa alcuni chilometri più a nord. Nel medioevo però le cose non stavano affatto così. Rocca Respampani fu costruita proprio su una importante arteria, la Clodia, e più precisamente nei pressi del punto in cui questa strada attraversa un affluente del Marta, il Traponzo. Esser padroni della rocca significava conseguentemente dominare e controllare i traffici della Clodia, si può quindi asserire che l’importanza della Rocca risultava direttamente proporzionale a quella della Clodia. Ebbene si può affermare con sicurezza che questa arteria di importanza ne aveva e molta. Essa si presentava in effetti come alternativa alla via Aurelia che era considerata troppo infida essendo esposta ad attacchi provenienti dal mare.
Concludiamo questo breve excursos con alcuni cenni sulla via Clodia.
Era una antica strada romana. Venne costruita per rafforzare il dominio di Roma sull’Etruria conquistata e ricalcava una antica pista etrusca. Aveva inizio a Saturnia, proseguiva oltrepassando 50 Km. più a sud Canino, entrava poi nella città di Tuscania, che era una delle principali mansioni in epoca romana, successivamente toccava Norchia, Barbarano, e poi in prossimità del lago di Bracciano si biforcava; una sua diramazione giungeva fino alla Cassia seguendo la riva nord del lago, un’altra seguiva invece la riva meridionale e si univa anch’essa alla Cassia in prossimità della Storta.
Vanì, 25-10-2015
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