Alcune rare notizieIl territorio in esame, parte integrante dei Monti della Tolfa, è posto su un altipiano delineato dalle strade di Baldone e del Marano, dalla Grasceta di Tittarella e dalla Sterrata per il Cocozzone. Il trek attraversa questi luoghi poco conosciuti, frequentati dal genere umano dalla preistoria fino al tardo medioevo ove poi è seguito un lento ed inarrestabile abbandono ed il tempo man mano ha cancellato ogni evidente traccia umana. Attualmente Piant’angeli e dintorni interessano soltanto per il legnatico, per la caccia e, marginalmente, a stagione, per le discrete cacciate di funghi e di frutti selvatici. Rari Gruppi di trekkisti, attraversano il luogo, incontrando, a volte, ostilità e diffidenza dei proprietari e dei “cacciarellari”.
A dire il vero la bellezza naturalistica del luogo è dovuta, in buona parte, alla scarsa frequentazione del luogo dei “fagottari”, dell’uomo irrispettoso e senza scrupoli. Ma non vanno trascurate le accorte politiche forestali delle comunità locali che non permettono qualsivoglia tipo costruzione o speculazione. Le amenità del luogo andrebbero sicuramente protette da un ente parco.
Il complesso collinare domina le estese pianure verso Tarquinia, Tuscania ed il medio corso del Mignone, con panoramiche sulle configurazioni sub collinari di Viterbo, Civitella Cesi, Manziana, Canale Monterano, S. Marinella ed i domi tolfetani. Per questo alcuni rilievi dell’altipiano hanno richiamato le attenzioni dell’uomo, che vi ha fissato punti di controllo e di segnalazione.
I più noti insediamenti umani sorgono nel territorio circostante, ed appartengono al periodo del bronzo, verso le coste del Marano; mentre villaggi etruschi sono presenti su Monte Rovello, Pian Conserva, Pian Cisterna, il Ferrone e Poggio Fortino. Ma sappiamo che i circostanti “Campi di Minione” erano costellati di villaggi fin dal periodo neolitico. Di questo parla Virgilio nel canto X dell’Eneide.
Il territorio, per la sua ubicazione e non trascurabile elevazione, è stato intersecato da numerosi sentieri, sterrate e strade, ora abbandonate, che permettevano rapido e sicuro transito per la Tuscia Settentrionale, bypassando le vie della regione costiera, spesso impaludate e malariche. Presso la Grasceta dei Cavallari, nel punto ove si dipartono tre carrarecce, sono venuti in luce due templi etruschi, dalla pianta di una architettura particolare, la cui caratteristica verrà commentata sul luogo nel corso dell’escursione. Avanti poi la prima sterrata, che piega verso destra, prospicienti le alte e rocciose coste dell’altipiano, sono visibili cospicui resti dell’Abbazia benedettina di Sant’Arcangelo e tracce del castello posto al suo fianco. Della chiesa, eretta nel XII secolo, sono visibili, molto suggestivi, resti di mura, colonne, dell’altare ed una acquasantiera, in roccia trachitica. Al margine di questa ciò che resta del castello, che dominava, tra le rocce, le verdi vallate verso il Mignone. Queste emergenze, scarsamente studiate dagli storici locali, sono state meglio esaminate, nel XIX secolo, dal Bartoli, insigne studioso della città collinare. Ma i suoi interessanti appunti sono incredibilmente e misteriosamente scomparsi dagli archivi locali. Di ciò che resta sul territorio risulta elaborato uno studio, sugli scavi effettuati a cura del G.A.I., che è stato oggetto di una interessante monografia, a cui si rimanda per maggiori approfondimenti.
Tutta l’area dei Monti della Tolfa, dal quinto all’ottavo secolo d C., è stata oggetto di conquista longobarda, e toponimi quali “Costa Lombarda”, strada di Baldone, fontanile di Poggio Baldone, sono chiare testimonianze di quel dominio. Osservando dall’alto il fiume e la strada del Marano, si nota che entrambi circoscrivono, a diverse altezze, tutto il sistema collinare, per poi convergere, verso ovest, e perdersi nel vasto bacino pluviale preistorico.
Dall’Abbazia si diparte un sentiero grazioso, battuto dai benedettini che, traversando il bosco, raggiungevano il fontanile di Poggio Baldone, per le proprie esigenze idriche.
Tutto il territorio dell’altipiano è costellato da ampie radure, dette “grascie”, i cui spazzi sono stati sottratti al bosco dai monaci e che portano il nome di Grasceta dei Cavallari, di Tittarella, Grande e Tonda. Le parole “grascia” e “grasceta” derivano sicuramente dal termine “grangia” o “grancia”, che provengono dal francese “granche” che significa “granaio” e questo, dal latino “granun/i. Quindi queste radure, sopra cui sorgevano dei casali, venivano utilizzate dai monaci per la piantagione del grano. Risultano infatti realizzate dall’ordine religioso dei Cistercensi, nato in Francia, che nei secoli XII e segg., che fu protagonista di una diffusa rinascita agricola particolarmente nel nord Italia. Questi Cistercensi, attraverso numerose donazioni, arrivarono a cumulare un ingente patrimonio agrario, che gestirono bonificando e dissodando i terreni, che coltivavano con l’ausilio dei loro famigli, ospitati nelle apposite fattorie monastiche che presero il nome di “grangie”.
Nella nostra zona sono risultate numerose le presenze di monaci dell’ordine templare. Dimoravano questi le chiese di San Giulio in Civitavecchia e di San Matteo nella rocca di Tarquinia, nella città medievale di Leopoli, all’eremo della Trinità di Allumiere e nel castellaccio del Cocozzone “octozonis montis”, prossimo a Piantangeli. I templari sono ritenuti “fratelli” dei cistercensi e quindi probabilmente i due ordini debbono aver condiviso il dominio religioso/politico sui Monti della Tolfa. Nella zona in questione oggi il toponimo granscia, di chiara matrice Cistercense, perdendo il suo primario significato, sta ad indicare una radura, in mezzo al bosco, ove i grascieri (operai), per il lavoro prestato nei campi, ricevevano in pagamento beni in natura dai proprietari terrieri.
VANI' 16/11/08
BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.