Dopo una tormentata spola con le auto, alle ore 10.00 c.a., ci imbarchiamo finalmente verso Luni. Zaini indossati, rotta nord-est, dopo aver lasciato le “Spalle, il Casale e l’Ara di S.Maria”, alla volta dello speciale insediamento archeologico posto alla confluenza del Vesca nel Mignone.
I toponimi riferiti a “S.Maria” ad un insediamento nel luogo, ricordano una “Domus cultae” altomedievale creata nel territorio di S. Pietro per ripopolare la zona, la cui ubicazione sulla riva destra del fiume appare incerta. Scomparsa già intorno all’ottocento d.C., del complesso, che man mano venne trasformato in chiesa e monastero, non si è più trovata traccia (Vedi su internet “Chiesa di S.Maria sul Mignone di Giuseppe Cola”).
In tempi etruschi la Valle del Mignone fu vivace e popolosa, ma dopo la”romanizzazione” non furono sufficienti le centuriazioni a mantenere in vita il territorio. Malaria, latifondismo ed insabbiamento della litoranea “Aurelia”, ridussero il luogo in stato di abbandono. Ora angolo di macchia mediterranea incontaminata e paradiso per gli escursionisti che lo conoscono. Luogo ove soltanto pochi esseri riescono a sopravvivere. Regno di cavalli tolfetani bradi, di bufali, di “podoliche” dalle grandi corna a “lira”. Animali selvatici che debbono contendersi le scarse colture che “attecchiscono” le petrose colline, accumulate nei millenni dal fiume Mignone. E lui, l’artefice dei tratti orografici e della costa marina. Seppur siccitoso, regolare pochi mesi all’anno é soggetto nel breve, a piene imprevedibili e disastrose, capaci di cancellare interi tratti collinari e di trasportare a valle tonnellate di fertile fanghiglia. Chi vive qui è ormai avvezzo ad un clima aspro ed esasperante, niente affatto temperato che nell’arco dell’anno tocca i suoi estremi, tranne nei primi periodi primaverili ed autunnali. Le intense calure estive sono favorite dal ridosso delle forre, ed il freddo “polare” trasportato dai venti di tramontana reso pungente e moltiplicato, si incanala nell’alveo del fiume che discende dai Monti Cimini.
Un tempo attorno al corso del Mignone, sorgevano piccoli operosi centri agricoli, creati dall’uomo “minatore”. E’ qui, nei “Campi di Minione”, che Enea reclutò trecento giovani che assieme ad altra gente di lega etrusca, contrastarono i Latini che non gradivano la presenza troiana alla foce del Tevere. Il luogo era particolarmente caro ad Enea perché sembra che la stirpe Dardanica fosse originaria dell’Alto Lazio.
Discendiamo queste colline per un sentiero che permette di oltrepassare una stretta gola sul Mignone. Oggi il fiume scorre al minimo delle sue portate storiche, ciononostante conserva sempre un particolare fascino.
La bassa e nervosa vegetazione ripariale lascia capire che, al di fuori del bestiame brado, e qualche avventuroso cacciatore, qui non passa più nessuno. Prima di giungere alla bella Mola di Monteromano, ammiriamo suggestivi sfondi senza avvertire, per vari chilometri, altra presenza umana. Giunti in prossimità di un gran “rimessino”, incontriamo centinaia di vacche maremmane che qui si son date convegno.
Ma per raggiungere Luni dobbiamo oltrepassare la Mola e deviare dal sentiero sul Mignone fino per intercettare la vecchia linea ferroviaria per Orte ove è ancora ubicata la stazioncina di Monteromano.
“Uno sguardo al Ponte” … di ferro
“Uno sguardo al Ponte” … di ferro
La Casa del Ras ed il Tempio etrusco trasformato in chiesetta paleocristiana
Una capatina alla terrazza di Ivano
Poi ci spostiamo sul pianoro dei Tre Erici, ove Re Gustavo di Svezia ha rinvenuto il fondo di una immensa capanna Appenninica, per incontrare le case intagliate nel tufo.
Ancora avanti verso la porta Est.
Una volta usciti su Pian Vignolo incontriamo un bel gregge di pecore con i suoi cani pastori, che non vogliono affatto saperne di cederci il passo. Ma è bastato uno sguardo severo, per metterli in guardia e … coda tra le gambe si allontanano mal volentieri dal nostro sentiero.
I “nostri eroi” non si erano accorti della presenza di un bell’esemplare di lupo che, acquattato al margine del bosco, stava tentando il colpaccio ai danni di qualche pecora attardata e che, la presenza del Cinghy, ha allontanato!
“Mala tempora currunt”! Mala tempora per cani e lupi, se oggi basta un cinghiale a metterli in fuga. E mentre i cani guardinghi dispongono saggiamente il gregge in circolo, per appostarsi sull’esterno. Tutto sommato penso che i cani lascino catturare qualche capo di bestiame al predatore, opponendo una tenue resistenza, un esemplare soltanto viene sacrificato. E’ quello il “dazio” che devono pagare se non vogliono ingaggiare una lotta che raramente volgerebbe a loro favore. E se proprio volete che vi racconti la tattica di caccia del lupo maremmano solitario … eccovi accontentati:
“”… il lupo segue il gregge di pecore per ore ed ore finché non si accosta al margine del bosco. A quel punto, acquattato tra la vegetazione, con un balzo addenta al collo la sua preda, che non emette neanche un gemito per richiamare i cani pastore (questo è strano!). Dopo una trentina di secondi i denti canini del lupo, lunghi e ricurvi, conficcati nella giugulare uccidono la bestia, mentre lui si allontana appoggiandone il corpo sul prato. Tornerà in un secondo momento con altri esemplari della sua famiglia, per ingoiare la massima quantità di carne possibile e rigurgitarla ai piccoli del branco.””
Vanì, 18-03-2012