Dalla strada Provinciale del “Fontanile della Nocchia”, prossimi alla Casetta di Tartanella, dopo aver lasciato alle spalle i Casali di “Femmina Morta”, imbocchiamo la sterrata che sorvola il Fosso della Macchie, per raggiungere, più avanti, il bel Fosso del Magnaferro.
Scopo della nostra uscita è quello di penetrare il cuore più recondito del paesaggio collinare tolfetano, particolarmente caratteristico, singolare, bello quanto aspro e selvaggio.
Un territorio sassoso, dal bizzarro carattere, frequentato dall’uomo fin dalla notte dei tempi, martoriato dalla sferza dei venti boreali, dilavato da violenti ed improvvisi temporali. Soltanto il bestiame brado, emarginato dagli allevamenti estensivi, riesce a trovarvi ragione di vita, nutrendosi del germoglio di spine, del rado erbaggio che gli scoscesi prati riescono a nutrire. Una volta boschiva, a causa di un “taglio” indiscriminato, la zona ha perduto la sua vegetazione vera e propria ed il suo humus è scivolato a valle lasciando spazi ad estese brughiere.
Valle Asceta (ascesi?), confine del mondo! Regno indiscusso della vaccina “podolica”, del cavallo muschiato tolfetano, animali inselvatichiti che trovano perfino appetibile, in particolari momenti, la corteccia dei pochi alberi spontanei che caparbi abbarbicano le radici tra rocce sedimentarie, su cui poggia uno scarso humus spugnoso e rigonfio d’acqua piovana negli inverni, secco e crepato frequente nei mesi siccitosi estivi.
Ma quando la stagione anticipa l’equinozio di primavera, tutto qui si risveglia ed ovunque una miriade di fiori prativi scendono i colli, quale torrente esondato. Secchi arbusti sbocciano gemme inusitate ovunque, sull’erboso tappeto dallo sfondo verde brillante, sulle sgretolate rocce che mutano continuamente aspetto colore e rumore. E perfino la perfida marruca, nasconde i suoi spini, retti e ricurvi, con piccole infiorescenze giallognole.
E’ una vera fiera per il bestiame brado che, pago finalmente dei tanti sacrifici offerti per la sopravvivenza, può ora brucare le profumate mentucce, il cardo, l’amaro carciofo dai suoi capolini spinosi, le mille cicorie ed abbeverarsi ai fossi cristallini e prosperare nella propria esistenza!
Ma alcune associazioni zoofile collinari hanno deciso in questi giorni di mettere al “bando” questo tipo di bestiame, reo, a loro dire, di disturbare il pascolo degli allevatori, di infettare il bestiame di proprietà. Untori Manzoniani!!!
Il bestiame brado è quello più sano che le nostre colline possano allevare. Sano perché sviluppato da selezioni naturali di elementi che lottano per la sopravvivenza. E’ un bestiame che si è riappropriato della propria libertà, che si è riadattato a partorire spontaneamente e che ha sviluppato forti difese immunitarie individuali e che, spesso, paga con la vita nei momenti di sopravvivenza impossibili. Ma nei lunghi periodi aridi può predare l’altrui fienagione, suscitando le ire degli allevatori.
A noi resta la speranza di non assistere a catture selvagge ingiustificate di questo caro e docile bestiame, privo dell’infamante “marchio” di proprietà sulla pelle e del “cartellino” di plastica pendente dagli orecchi. Che guardingo, ti osserva con i suoi grossi occhioni neri, pronto alla fuga, ma che sa valutare l’animo dell’uomo che gli passa accanto!
Le immagini dei due crani di bestiame che abbiamo fotografato appartengono a due esemplari deceduti nella valle per cause accidentali. Possono essere caduti vittima di lupi o di cani selvatici. Non da escludere il decesso per scarsa alimentazione o la morte per intrappolamento in una delle numerose “guinze”, che si formano tra le colline nei periodi particolarmente piovosi (formazioni simili alle sabbie mobili).
Altro aspetto particolare del nostro territorio è la presenza di “fontanili”, costruiti negli impluvi collinari, utili per l’abbeveraggio animale ed umano. Sopperiscono nei periodi siccitosi la carenza dell’acqua equilibrandone la presenza in quasi tutto l’arco dell’anno. L’acqua viene convogliata in un punto di conversione (bottino) ove, drenata e depurata attraverso il passaggio tra pietrisco e sabbie, viene convogliata entro canaline rocciose ed infine in un bocchettone che riversa il liquido in uno o più vasconi comunicanti, posti uno di seguito all’altro.
Giunti a questo punto, mi preme utile salvaguardare la sopravvivenza di qualche memoria locale, di cui anch’io conservo ormai ricordo vago e sfuocato.
Je vais vous prèsenter monsier TARTANELLA: personaggio ormai vivo soltanto sulle carte militari Italia 1/25000, ove al punto geografico 42° 5,48’ N – 12° 0,007 E, si rinviene sul documento la proiezione di un piccolo segno convenzionale dalla forma trapezoidale col toponimo “Casetta Tartanella, ”!
“Il ricordo … !?” Tartanella visse presumibilmente uno dei soliti periodi di crisi economica che periodicamente investono l’Italia e che hanno interessato il primo novecento. In taluni casi non tutti sono propensi a lasciare la propria terra per cercar fortuna altrove. Qualcuno resta, ostinato e determinato dal conforto delle sue forti braccia, dai suoi bei venti anni d’età e dall’amore per una donna. Gesto di sfida al mondo ed alle sue avversità.
Valle Asceta (valigetta), ancor oggi disabitata (per nostra fortuna!) sarà il suo reame ove con stenti e sacrifici costruisce una casupola di sassi. Dopo aver scelto un ripianto opportuno e spicchiato migliaia di pietre accoppiate con una povera e magra calce mista ad argilla. La “Casetta di Tartanella”: un gran portale ad arco a tutto sesto verso ovest, al sorgere del sole affaccia le finestre, alla maniera delle costruzioni dei nostri padri etruschi. L’interno: una gran cucina con camino, una o due camerette, servizi alla luce del sole. Gran libertà, ma esistenza strappata agli stenti. Fonti di reddito: frutti spontanei della natura, allevamento di animali da cortile, magre coltivazioni, acqua … piovana. Vengono anche al mondo ben 11 figli, allevati al confine dell’esistenza, del viver civile.
FRONTE DELLA CASETTA DI TARTANELLA
FRONTE DELLA CASETTA DI TARTANELLA
Di Tartanella non si hanno più notizie, presumibilmente dopo l’ennesima sofferenza, si sarà trasferito altrove, in qualche luogo più prodigo della sua amata valle, soltanto là, il suo ricordo, affidato ad un significativo rudere, duro e caparbio a sparire.
FOSSO DEL MAGNAFERRO – ALCUNI NIDI DI PICCHIO
VISTA PRIMAVERILE DEL SUGGESTIVO PRATO SCELTO PER IL PRANZO
ADIACENTE IL VASTO PIANORO DELLA POCO NOTA “NECROPOLI DELLE PIETRISCHE”
Vanì, 27-01-2013