La tradizione in città di preparare in novembre ed esattamente nei giorni dedicati ai defunti, gli amaretti, così detti, per l’appunto, “fave da morto”, proviene dai nostri padri etruschi. Per l’esattezza le scritture dei libri sacri di quel popolo prevedevano il dono ai defunti, nel periodo dell’anno a loro dedicato , di cose da mangiare, tra cui fave secche “nere”. L’usanza è stata tramandata fedelmente dai “Romani”, che avevano sacro rispetto per la religione ed i riti dei popoli conquistati, per il timore di rimanere vittime delle vendette e delle ire di divinità loro avverse. E proprio dal culto etrusco “Di animales e Di parentes” che i romani trasfusero, nella loro religione, particolari rituali come la venerazione dei Lari, spiriti dei defunti di famiglia. Latino “lares” dall’etrusco “lar” padre (Pierluigi Albini – Gli Etruschi magia sesso e politica” ed. Scipioni 1997 Valentano-).
I non sepolti, quelli che non riuscivano ad essere divinizzati a causa del mancato rispetto dei riti, o per errori commessi durante le cerimonie, oppure quelli che morivano in circostanze particolari, come gli impiccati, la cui anima non poteva più separarsi dal corpo, diventavano anime vacanti, Lemures o Mani, inquieti e pericolosi per i viventi. Con molta cautela possiamo leggere di riflesso la religione etrusca attraverso alcune usanze romane.
I Romani avevano ereditato probabilmente dagli etruschi tutta una serie di usanze per tentare di mantenere un buon rapporto con le anime dei defunti, le quali continuavano a premere contro il mondo dei vivi. Ai Lari veniva consentito in due periodi dell’anno l’ingresso nel mondo dei vivi, scoperchiando il mundus e cioè la fossa al centro della città, normalmente ricoperta da una pietra, che metteva in collegamento gli inferi con la terra: la famiglia mangiava assieme ai suoi defunti ed in quei giorni si sospendevano tutte le attività pubbliche.
La credenza più diffusa era che i fantasmi vagassero permanentemente nei dintorni delle case nelle quali cercavano di introdursi di notte per mangiare gli avanzi dei pasti (Heurgon). Sicché, il particolare pavimento a mosaico romano della stanza non spazzata, nel quale erano rappresentate ossa, lische di pesce e frutta gettate per terra, è stato interpretato come resti di pasto simbolicamente lasciati a disposizione delle anime vaganti, per captarne la benevolenza.
Nei giorni appositamente dedicati a placare le anime (Lemuria), durante i quali le anime dei vaganti si infilavano dentro le case, il timorato di Dio – racconta Ovidio – si alzava a mezzanotte, scoccava le dita contro il malocchio (pare che si tratti di un gesto tuttora in uso), si lavava le mani e buttava le fave nere alle sue spalle e, senza voltarsi, ripeteva per nove volte una formula di rito, si lavava di nuovo le mani, batteva sopra una coppa di rame e pregava gli spiriti dei suoi padri, che nel frattempo avrebbero dovuto raccogliere le fave e abbandonare la sua casa. Non è dato sapere quante volte sia successo che il pio cittadino non trovasse più, voltandosi, le fave nere che aveva offerto ai fantasmi.
In un altro periodo dell’anno cadevano le “Parentalia”. Anche in questo caso i morti risalivano dagli inferi ed erravano per la città, ma con intenzioni - sembra - meno fastidiose, perché non si accostavano alle abitazioni dei vivi. In quei giorni la vita pubblica e religiosa si arrestava, tutti si dedicavano ai propri morti e solo l’ultimo giorno la festa diventava pubblica”.
E’ cosi, che molto probabilmente, da quel particolare rito di donare fave secche ai morti, è giunta fino a noi questa tradizione che si ripete da tempo immemorabile nel periodo dei defunti. Si, ma tutto ciò con una interpretazione inversa. Nella notte compresa tra il giorno della commemorazione dei Santi e quello dei Defunti, viene donato alla fidanzata un sacchetto di fave da morto, preparate in casa o comperate presso le pasticcerie locali. Lo stesso si fa per i bambini, che trovano una bustina di questi amaretti il mattino nel giorno dei morti, sotto il loro cuscino. Il dono viene giustificato quale premio dei morti più prossimi, di ciascuna famiglia, per i piccoli, per essere stati più buoni e più bravi.
Ebbene prima di trascrivere la ricetta delle “fave da morto civitavecchiesi”, vi dirò che sbirciando vari libri di cucina, non ne ho trovata una simile, tra le varie elaborazioni dolciarie “italiane”.
Vanì 01/11/09
“FAVE DA MORTO CIVITAVECCHIESI"
INGREDIENTI: - farina 200 grammi, zucchero 300 grammi, burro 100 grammi, due uova, mandorle dolci 200 grammi, mandorle amare 30 grammi (*), quattro cucchiaini di cannella, un cucchiaino di ammoniaca in polvere (si compra in farmacia).
(*) possono essere sostituite da di mandorle amare.
PREPARAZIONE: Tritare le mandorle nel frullatore, aggiungendo parte dello zucchero previsto in ricetta per evitare la formazione di liquidi. Una volta che i frutti siano tritati finemente, in un apposito recipiente si aggiungano gli altri ingredienti. A questo punto occorre lavorare bene l’impasto per ottenere un prodotto omogeneo e morbido, poi formare direttamente nella teglia da forno, appositamente unta con del burro, gli amaretti, ricavandoli da piccole palline che schiaccerete con un dito conferendogli la classica forma tonda. Cottura a 150 gradi, per circa 20 minuti.
“PIZZA COPERTA DI CIVITAVECCHIA"
INGREDIENTI: - mezzo chilo di farina, acqua tiepida, quaranta grammi di lievito di birra, quattro cucchiai di olio, un pizzico di sale, pomodoro a pezzettini, alici salate, peperoncino, aglio e prezzemolo.
PREPARAZIONE: preparare dapprima la pasta con la farina; con un bicchiere di acqua tiepida (utilizzarne quanta ne occorre), il lievito, l’olio ed il sale. Impastare fino ad ottenere un composto uniforme, lasciar riposare per quattro ore circa. Stendere la pasta molto sottile, formare la base, dopo aver leggermente unto la teglia, aggiungere il pomodoro, le alici a pezzettini, il prezzemolo e molto peperoncino. Coprire il composto con la restante pasta, unendo i bordi. Bucherellare la pizza per evitare rigonfiamenti, aggiungere un velo d’olio. Passare al forno per 10 - 15 minuti a 250 gradi.
"CANCELLATA CIVITAVECCHIESE"
INGREDIENTI: per la pasta frolla: 300 grammi di farina bianca, 150 grammi di burro, 150 grammi di zucchero, 3 tuorli d’uovo, un limone, un pizzico di sale fino. Ingredienti per la farcitura: 400 grammi di ricotta romana, 200 grammi di zucchero a velo, 3 tuorli d’uovo, tre o quattro cucchiai di rhum, 150 grammi di latte, 25 grammi di farina bianca, un cucchiaio raso di cannella in polvere, cioccolato e canditi a piacere.
PREPARAZIONE: Preparare la pasta frolla, che farete riposare per un paio d’ore in frigo. A parte approntare la farcitura, aggiungendo cioccolato fondente e canditi a pezzettini. Stendere la pasta nella teglia unta con del burro su cui passare un velo di farina. Una parte del composto verrà lasciato per comporre la cancellata a striscioline. Quindi unire la farcitura su cui adagiare le strisce di pasta abilmente incrociate. Cottura: nel forno a 180 gradi per circa 40 minuti.
“BISCOTTINI DI NATALE DI CIVITAVECCHIA"
INGREDIENTI: 10 uova fresche, Kg. 1.500 di zucchero, Kg. 1 di cioccolato fondente, Gr. 800 di mandorle sgusciate, Gr. 200 di nocciole sgusciate, Gr. 800 di burro, Gr. 400 di canditi misti, Gr. 15 di cannella, una bustina di vaniglia, un bicchierino di liquore (Sambuca Molinari/ o Rhum) due o tre pizzichi di sale, ½ bustina di lievito (Pane degli Angeli), Kg. 1500 di farina 00, Kg, 1500 di farina 0 (l’impasto ne dovrebbe raccogliere circa 3 chili – non abbondare).
PREPARAZIONE: Se possibile tostare mandorle e nocciole, poi tagliarle in 2 o 4, spezzettare il cioccolato in piccole scaglie di poco meno di un cm., spezzettare anche i canditi. Sulla tavola disporrete la farina con cui fare la fontana. Si comincia con le uova, battendole con un forchettone per far amalgamare un poco di farina. Si aggiungano: il liquore, il burro (non liquefatto sul fuoco) che avrete lasciato a temperatura ambiente per un paio di ore e che taglierete in piccole parti con un coltello. Quindi la cannella, la vaniglia, il sale, i canditi la frutta secca e la cioccolata, per ultimo il lievito. Attenzione: il composto deve restare morbido, non deve assorbire farina in eccesso, così i biscotti verranno morbidi e friabili. Impastare a mano finché non si scioglie tutto il burro immesso.
Man mano che si inforna si preparano i filoni, lunghi come la teglia, appositamente unta con del burro su cui va steso un velo di farina. I filoni vanno posti in forno opportunamente distanziati, per evitare che la loro crescita non li faccia attaccare l’un l’altro. Prima di infornarli si possono spennellare con un uovo sbattuto, ciò conferirà ai biscotti un accattivante colore. Tempo di cottura, forno già caldo a 190° - scala 6 forno ventilato, 15 minuti c.a.. Dopo di ché estrarre i filoni con una o due spatole (per non fratturarli) ed adagiarli su una tavola (di legno). Tagliare i biscotti obliquamente con un buon coltello (cm. 1,50 o 2 di larghezza) che disporrete in un recipiente di vimini sopra un panno di lino o cotone bianco).
I biscotti generalmente vengono consumati inzuppandoli nel vino dolce, Vinsanto, Aleatico, Vermouth, Marsala od altro e, per finire, un immancabile bicchierino di Sambuca locale, Manzi o Molinari.
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